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Death Stranding: Hideo Kojima sulla solitudine, la morte dei genitori e le connessioni nel gioco

Hideo Kojima ha spiegato vari aspetti della concezione e dello sviluppo di Death Stranding che vanno a scavare nella sua stessa identità, dalla solitudine di fondo al pensiero della morte.

NOTIZIA di Giorgio Melani   —   29/11/2019

Hideo Kojima ha illustrato aspetti più oscuri e meno noti dello sviluppo di Death Stranding e del gioco stesso in un'interessante intervista concessa a Vulture, nella quale ha toccato anche argomenti come la solitudine e la morte dei genitori.

Death Stranding è un gioco basato sulla connessione e la necessità di mantenere rapporti e relazioni come una sorta di rete in grado di definire l'essenza stessa dell'umanità e della civiltà, in qualche modo riflettendo anche dei bisogni intrinseci che emergono con forza in questo periodo storico. L'iper-connettività che circonda la società moderna nasconde infatti una profonda solitudine individuale, argomento che a quanto pare Kojima conosce molto bene.

"Mi sentivo solo quanto parlavo anche con gli amici perché non mi capivano, volevo andare a casa e accendere tutte le luci perché avevo paura", ha riferito Kojima a Vulture, "Avevo così tanti amici a scuola, ma ero solo, non l'ho mai detto a nessuno, pensavo di essere malato". Su questo aspetto, Kojima ha riferito di essersi riconosciuto nella figura di Travis Bickle in Taxi Driver, altro elemento che cementa la sua connessione con il mondo del cinema.

Il tema della solitudine è dunque molto vicino a Kojima e si ritrova come elemento fondante in Death Stranding, così come la connessione con coloro che non ci sono più e coloro che arriveranno in seguito a noi. La morte e il ricordo fanno parte del gioco fin dalla sua concezione, che peraltro ha visto la morte della madre di Kojima proprio nel medesimo periodo.

Il game designer ha spiegato di aver mantenuto segreta alla madre tutta la questione della creazione del nuovo studio Kojima Productions, il suo nuovo inizio da indipendente e lo sviluppo di Death Stranding, per non farla preoccupare viste le sue condizioni delicate e pensando "le svelerò tutto una volta che avrò avuto un po' di successo", ha raccontato, ma non c'è stato il tempo perché la madre è venuta a mancare nelle fasi iniziali dello sviluppo del gioco. "I fantasmi nel gioco", ha spiegato Kojima, assumono allora un significato profondo e anche personale: "forse i miei genitori sono tra loro e mi guardano in quel modo mentre vivo in questo mondo". Questo è un pensiero del designer su Death Stranding, visto che ha perso anche il padre quando aveva 13 anni.

C'è dunque un senso di connessione che trascende la vita terrena alla base del gioco: "Volevo che ci fosse questo tipo di metafora, ovvero che dentro di voi, siete tutti connessi con le persone che se ne sono andate".