Di quello che rappresenta DOOM potremmo parlare all'infinito, alternando in modo sapiente il suo valore di franchise in epoche videoludiche diverse, alle analisi della portata del suo gameplay sull'intero settore e su generi molto differenti. I due DOOM degli anni '90 hanno influenzato vicende ben diverse da ciò che riuscì a stimolare l'amato e odiato DOOM 3 di inizio anni 2000. E lo stesso tipo di effetto lo abbiamo visto anche con la recente trilogia, che ha cercato di far ripartire la serie in quello che sembra ormai essere un lontanissimo 2016.
Oggi siamo qui per parlare di The Dark Ages, il terzo capitolo della recente tripletta: il più nuovo, ma anche quello cronologicamente più arretrato visto che a livello narrativo si posiziona a mo' di prologo rispetto al DOOM di dieci anni fa. E questa sorta di dualismo in apparente contrasto lo possiamo vedere anche nella filosofia di design di questo episodio: c'è la volontà di portare sul mercato la perfetta incarnazione di un boomer shooter che però vuole anche cercare un qualche spunto di innovazione. In altre parole uno sparatutto per vecchi, che per definizione dovrebbe puntare tutte le sue fiches sull'effetto nostalgia e sulla riproposizione di dinamiche antiche e molto facili da identificare e ritualizzare, ma che lo fa sparigliando le carte sul tavolo e offrendo continuamente qualcosa che appaia nuovo e che rompa con queste tradizioni.
Noi lo vogliamo dire fin da subito che DOOM: The Dark Ages ci ha effettivamente convinto e divertito fin nelle nostre viscere, ma in quest'opera di svecchiamento e di spasmodica necessità di offrire sempre qualcosa di inedito, non tutto funziona come dovrebbe e nel corso della recensione cercheremo di spiegarvi e identificare le varie anime di questo gioco. Quindi mettetevi comodi, dato che avete tutto il tempo di leggere la recensione o guardare e ascoltare il nostro giudizio a video, considerando che per giocare concretamente la nuova opera di id Software dovrete aspettare fino al 15 maggio, giorno in cui il titolo arriverà su PC, PS5 e Xbox Series X|S, oltre che sul Game Pass. Anche in questa occasione, come per i più recenti titoli prodotti da Microsoft, ci saranno due giorni di accesso anticipato nel caso in cui abbiate scelto di spendere qualche decina di euro in più per acquistare la Premium Edition.
Dopo DOOM 2016, ma anche prima
Come già detto poche righe sopra, The Dark Ages è a tutti gli effetti un prologo al DOOM del 2016, il capitolo della rinascita moderna del franchise di id Software, con uno slayer che, pur seguendo il tipico arco narrativo della serie - si parte da semplici pedine di strani giochi di potere per arrivare a sovvertire ogni ordine e regola eliminando qualsiasi cosa ci si pari davanti con una forza inarrestabile - offre due importanti cambi di direzione rispetto al passato.
Prima di tutto, l'ambientazione è particolarmente cupa e ancorata sia a tratti medievali che ad alcune derive infernali abbastanza tipiche per questo franchise, ma con un'interessante incursione verso il fantasy oscuro in stile Miti di Cthulhu che, onestamente, non ci saremmo aspettati, ma che molto bene si sposa con tutta l'iconografia del gioco. In seconda battuta, cosa da non trascurare affatto, questa volta ci troveremo davanti ad una narrazione reale, concreta, scandita dagli elementi che siamo abituati a vedere nei Tripla A videoludici moderni con tanto di comprimari, antagonisti, sequenze d'intermezzo che concludono un livello e presentano il successivo, e anche qualche piccolo spezzone scriptato nel bel mezzo dell'azione per scandire in modo cinematografico i passaggi più cruciali nell'evoluzione della storia.
Vogliamo essere molto chiari: non siamo di fronte a chissà quale intreccio di trama sorprendente o ricco di colpi di scena, né dovete aspettarvi momenti ricchi di pathos o approfondimenti elaborati di vicende particolarmente complesse che coinvolgono personaggi sfaccettati e credibili. Ciò che avviene è estremamente coerente con gli elementi basilari del franchise e con gli stilemi tipici di un anti-eroe di cui tutti hanno paura e che agisce per il puro fine di massacrare il male in ogni sua forma, finendo per diventare una sorta di paladino del bene a sua insaputa.
Però ciò che davvero conta, in fondo, è sapere che il racconto che vi terrà compagnia è infarcito di epicità e di momenti capaci di accendere un bel po' di godimento e di sano machismo nel giocatore, complice anche una colonna sonora che sa caricare al momento giusto e diverse situazioni in cui lo slayer è emblema di una brutalità estrema senza ragionamenti che si muove in un crescendo costante nel corso della campagna, raggiungendo momenti estremi capaci di generare grande soddisfazione interiore. Quasi come si trattasse di una sorta di catarsi.
Volendo cercare un elemento negativo: in più di un'occasione si nota un certo sfilacciamento del racconto soprattutto quando, tra una missione e la successiva, le scene di intermezzo sembrano non colmare alcune parti di trama o comunque non sono in grado di giustificare alcuni repentini cambi di scenario e diversi spostamenti nello spazio dello slayer poco giustificabili. Ma, di nuovo, è come volersi lamentare della mancanza di credibilità in una pellicola di Fast & Furious.
A titolo informativo, a completare la storia abbiamo impiegato circa 14 ore non completando al 100% più della metà dei 22 livelli che compongono la campagna. È assolutamente credibile che per i maniaci del completismo, siano necessarie almeno una ventina di ore. E senza tenere conto del grandissimo livello di rigiocabilità che accompagna questo DOOM e su cui torneremo più avanti.
Cappa e scudo
Fin dal suo annuncio, DOOM: The Dark Ages ha voluto sottolineare con forza la volontà dello sviluppatore di ripensare dalle fondamenta una parte prominente del combat system che, alla prova dei fatti, si configura come una ideale via di mezzo tra un gradito ritorno al passato e un intenso sguardo al futuro. Se è quindi verissimo che bastano pochi minuti di gioco per rendersi conto che questo capitolo è, a tutti gli effetti, un sequel di Eternal e DOOM 2016 (paradossalmente più di quest'ultimo che del successivo episodio), impiegherete però ore a rendervi conto e quindi a padroneggiare tutte le nuove dinamiche che, concretamente, definiscono il loop di gameplay.
L'azione è infatti fortemente ancorata al terreno e la componente melee, unita ad una fortissima propensione allo spostamento laterale sul terreno di battaglia, lo strafe, modificano sensibilmente l'appeal del combattimento stimolando il giocatore ad una corsa circolare costante con continui avanzamenti in direzione dei nemici più massicci per gestire nel migliore dei modi i loro attacchi, infliggere i danni più cospicui e, soprattutto, non rimanere mai a corto di energia e armatura.
Il famoso carosello che definisce la recente interpretazione di DOOM dove bisognava dosare le varie tipologie di attacco per recuperare munizioni, vita e corazza, è indubbiamente smorzato nella sua efficacia in The Dark Ages, ma non perché id Software abbia voluto tradire la sua meccanica originale, ma perché ora è tutto molto più amalgamato, naturale, nella dinamica di combattimento, quasi come se diventasse un esito dello stile di attacco che il giocatore dovrà padroneggiare.
Accanto infatti alle numerose bocche da fuoco (ne incontrerete più di una dozzina nel vostro epico viaggio, molte delle quali sono dei grandi classici del genere, ma con dei design straordinari) il nucleo fondante dell'esperienza è incarnato dall'arma melee e dallo scudo-sega. Nel primo caso dobbiamo ora fare i conti con tre diversi strumenti di offesa contundente che raccoglieremo nel corso del nostro viaggio, che potremo cambiare alla bisogna e che aprono il fianco a tre approcci alternativi all'azione ravvicinata. Non è infatti più possibile "spammare" il colpo ravvicinato, ma questo è soggetto a un numero limitato di attacchi con un tempo di ricarica da gestire attraverso il combattimento stesso o raccogliendo determinati oggetti sul terreno. Inoltre questi assalti ravvicinati sbloccano delle vere e proprie combo se effettuati in sequenza e si intersecano alla perfezione con le uccisioni epiche che adesso sono parte integrante del flusso naturale dell'azione, senza più sequenze scriptate o finestre di invulnerabilità come capitava in passato.
Questa azione ravvicinata si combina con l'uso dello scudo che servirà non solo ad assorbire o respingere proiettili avversari e colpi ravvicinati, ma sarà lo strumento cardine con cui gestire lo stordimento dei nemici e l'esecuzione di colpi ad alti danni attraverso la parata perfetta. Giocando si diventerà naturalmente predisposti ad intercettare e inseguire i proiettili colorati di verde perché gli unici capaci di essere rimandati al mittente e anche utili a ricaricare l'assalto melee di cui sopra, entrando in un loop di parate e assalti ravvicinati che sono capaci di definire l'azione di The Dark Ages e di dare una incredibile sferzata di adrenalina e soddisfazione quando le situazioni di combattimento si fanno particolarmente caotiche e colme di avversari di caratura differente.
L'andirivieni tra spari dalla distanza e assalti all'arma bianca risulta sempre ben coreografato anche grazie al ralenti strategicamente implementato dallo sviluppatore che sottolinea l'abilità del giocatore nel parare e colpire al momento giusto, e il risultato è una naturale e progressiva alternanza tra lo strafe circolare mentre si bersagliano i nemici con la bocca da fuoco preferita, le corse spasmodiche per intercettare i proiettili da respingere, gli avvicinamenti repentini per scaricare la mazza contundente e i lanci di scudo per far saltare in aria le corazze avversarie o stordire momentaneamente il nemico più massiccio che ci sta massacrando da lontano.
E stiamo cercando volutamente di non scendere troppo nei dettagli per non rovinarvi la sorpresa, ma tra le interazioni tra le armi da fuoco ed i colpi melee, la gestione di alcuni stati elementali, la dinamica delle armature avversarie che vanno "riscaldate" per poi essere infrante e, ovviamente, la necessità di non surriscaldare allo stesso tempo il nostro scudo pena il suo inutilizzo per alcuni attimi, è evidente come id Software abbia studiato davvero a fondo la sua creatura per offrire un sistema di combattimento sì immediato, ma anche sorprendentemente profondo che, siamo sicuri, richiederà decine di ore per essere padroneggiato alla perfezione. Con, probabilmente, risultati stupefacenti per i giocatori che sapranno diventare un tutt'uno con questo gameplay.
Davvero non c'è nulla di criticabile, a nostro parere, nel loop di combattimento di questo DOOM: The Dark Ages che, di fatto, definisce in modo originale uno sparatutto che nel cercare l'effetto nostalgia mette un piede in un'idea futuribile del genere a cui appartiene, arrivando persino a fare un'incursione nei bullet hell con dei risultati visivi e coreografici davvero inattesi.
Ma ci sono anche dei difetti
E ora arriviamo alle note dolenti perché, sì, DOOM: The Dark Ages non è un gioco perfetto e da questo punto di vista fa quasi male notare che i principali problemi arrivino dalle introduzioni che id Software ha voluto fare a tutti i costi, immaginiamo con l'idea di svecchiare il franchise o dargli magari qualche spunto di comunicazione e marketing capace di attirare un pubblico differente dagli amanti del genere.
Partiamo quindi dalle due introduzioni messe lì nel gioco per spezzare il flusso lineare dell'azione. In primis abbiamo l'Atlan, una sorta di mech gigantesco che lo slayer controllerà in determinati livelli per affrontare alcuni demoni infernali di dimensioni colossali. Il gameplay è ridotto all'osso con praticamente solo la possibilità di schivare, infliggere cazzotti devastanti e utilizzare un paio di armi concesse in momenti predeterminati. Non c'è davvero nulla di interessante ed originale, ma queste sessioni durano il giusto e rappresentano un piccolo momento di "sollievo" dal ritmo al cardiopalma di gran parte del gioco. Pur essendo facilmente dimenticabili, non ci sentiamo di criticarle perché id Software è stata particolarmente brava a dosare questo riempitivo.
Poi però c'è il drago volante visto e rivisto nei trailer. Qui davvero si fa fatica a comprendere le ragioni alla base della scelta di implementare un tale impiastro. Immaginate di avere questa manciata di mappe aperte dove svolazzare in giro con la vostra creatura volante per sparacchiare ad alcuni nemici e talvolta atterrare per ritornare al DOOM classico, ripulire un'area e poi montare di nuovo in sella all'animale alato per andare altrove ripetendo il tutto. Così raccontato potrebbe quasi non sembrare male, ma poi c'è la realtà dei fatti.
Il sistema di volo è sporco e poco piacevole, i momenti in cui bisogna sparare con il drago sono al limite del rhythm game con assurde schivate da effettuare per sovraccaricare l'arma e consentirle di abbattere le difese avversarie che altrimenti sarebbero quasi invulnerabili; il tutto, tra l'altro, da gestire con un sistema di mira semi-automatico che appiattisce qualsiasi velleità di azione e controllo della mira. E, oltretutto, le parti di livello classiche di queste aree, quelle da affrontare "a piedi", sono ripetitive e davvero poco ispirate. Insomma, le sezioni con il drago a nostro parere hanno ripercussioni negative sul ritmo generale di The Dark Ages.
Come se non bastasse l'effetto negativo di queste fasi trasuda anche su quella che è probabilmente l'aggiunta più interessante di tutto il pacchetto: alcuni livelli che si configurano come delle vere e proprie mappe aperte da esplorare in lungo e in largo secondo il ritmo e le volontà personali perché basate su obiettivi che per larga parte possono essere completati senza un ordine prestabilito. Queste mappe fungono da intermezzo tra i livelli più labirintici, claustrofobici e, se vogliamo, lineari della campagna, per offrire un ulteriore cambio di passo e ritmo. Peccato soltanto che si portino dietro alcuni limiti difficili da ignorare. Da un lato denotano una certa carenza di level design: The Dark Ages abbandona praticamente in blocco la verticalità che contraddistingueva Eternal e questo elemento unito alla suddivisione ad arene di queste mappe, dove dobbiamo limitarci a ripulire le varie zone per completare gli obiettivi, rende lo scenario estremamente piatto per quanto ispirato e vario a livello artistico. Ci si ritrova semplicemente a correre in circolo per gestire i nemici, sfruttando molto poco il terreno e gli appigli a disposizione.
Ed una volta ripulito il tutto, e questo è l'altro lato della medaglia di legno, a seconda del tipo di giocatore che si è, o si corre verso la prossima arena per terminare il prima possibile il livello, oppure ci si mette lì a cercare ogni singolo collezionabile risolvendo i pochi enigmi ambientali che contraddistinguono l'esplorazione e ingegnandosi per raggiungere una certa piattaforma o una zona all'apparenza troppo lontana. Con importanti ripercussioni sul ritmo di queste fasi del gioco che risulta davvero diluito. Ed è anche per questo che ci sentiamo di criticare con più forza le fasi con il drago volante perché non fanno altro che generare una sorta di eco sulle mappe aperte che sembrano quasi rappresentare un'estensione delle fasi di volo appesantendo un titolo che invece brilla in modo accecante quando si combatte e quando si affrontano i livelli più lineari e sapientemente disegnati dai creativi di id Software.
Già che abbiamo parlato di collezionabili, DOOM: The Dark Ages offre un sistema di potenziamento delle armi e dello scudo dello slayer che è legato a doppia mandata all'esplorazione dei livelli. Bisognerà infatti raccogliere oro, rubini e pietre speciali per poter accedere ai miglioramenti che toccano sia le bocche da fuoco, che le tre armi melee, che lo scudo-sega permettendo, sul totale, un ampio grado di personalizzazione dello stile di combattimento. Tuttavia si è quasi costretti a navigare in lungo e in largo i livelli, specie nelle prime ore della campagna, se non si vuole rischiare di arrivare troppo sottodimensionati negli scontri più massicci.
Per quanto riguarda invece munizioni, vita ed armatura, l'aumento delle statistiche è direttamente collegato ai combattimenti con specifici mid-boss, che altro non sono che versioni potenziate dei nemici che incontreremo sul nostro cammino e che, in alcuni contesti, dovremo attivare cercare esplorando, ancora una volta, le mappe più aperte.
L'idea geniale della difficoltà granulare
Non smetteremo mai di lodare abbastanza id Software per l'idea di implementare un sistema granulare di gestione della difficoltà che si aggancia ai 6 livelli di sfida pre-impostati dallo sviluppatore. Questi ultimi prevedono 4 selettori classici che aumentano semplicemente la "cattiveria" del titolo nei confronti del giocatore più 2 livelli aggiuntivi che, pur nel mantenere fissa la difficoltà sul valore massimo, rappresentano delle super sfide dove l'uso dei sigilli è limitato (un particolare bonus che permette di resuscitare in combattimento) oppure comportano il game over permanente non appena si muore.
In aggiunta abbiamo un menù dedicato dove il giocatore può configurare ogni singolo elemento che compone le asperità del gameplay: dalla velocità del gioco, alla finestra della parata perfetta, ai danni inferti e subiti, passando dall'aggressività dei nemici e dal numero di risorse che si trovano sul terreno.
Il risultato che magari non è facile da immaginare, è che interagendo con tutti questi selettori si può cambiare sensibilmente l'intera esperienza di gioco spostando ad esempio in secondo piano la componente melee per focalizzarsi di più sulle sparatorie, oppure rendendo il titolo ancora più frenetico e rapido quasi come se si trattasse di uno shooter basato sulle speed run. O, persino, aumentando l'elemento bullet hell del gameplay sapientemente confezionato da id Software.
Questa implementazione permette, di fatto, di avere il DOOM delle proprie meraviglie: quello ideale che si sarebbe sempre voluto giocare. E, cosa da non sottovalutare, il tutto può essere cambiato in corsa proprio mentre si sta affrontando, senza dover mai riavviare la partita o ricaricare un checkpoint stimolando un grado di rigiocabilità tendente all'infinito e capace di restituire un'ottima longevità al prodotto.
Una componente tecnica non comune
Siamo certi che il giudizio su DOOM: The Dark Ages sarà universalmente positivo per ciò concerne l'aspetto tecnico. Se non altro su PC che è la piattaforma dove noi lo abbiamo potuto testare. Innanzitutto il titolo arriva sul mercato praticamente in uno stato di grazia: pulito, ottimizzato, stabile, praticamente privo di bug vistosi. Nella nostra lunga sessione di review non abbiamo mai incontrato un problema che fosse incisivo sull'esperienza: un crash o qualsivoglia problema impattante.
Il titolo implementa già al lancio il ray tracing per la gestione dei riflessi e dell'illuminazione globale, ma non il path tracing che dovrebbe arrivare il giorno dell'uscita ufficiale, stando alle parole del team. Tutte le tecnologie NVIDIA sono dentro, dal DLSS nei suoi vari preset, compreso il DLAA, fino alla Frame Generation sia singola (2X, come si chiama oggi) che multi (3X e 4X), e lo stesso vale per l'FSR di AMD che, pur fermandosi ancora alla versione 3, offre la generazione dei frame abilitabile a discrezione del giocatore e per l'XeSS.
Noi abbiamo potuto provare il titolo su due differenti sistemi, un AMD Ryzen 7900X3D accompagnato da una NVIDIA GeForce RTX 5080 ed un Intel Core i7-13700K accompagnato da una NVIDIA GeForce RTX 4070 Ti Super. Nel primo caso abbiamo giocato in 4K con MFG in 4X rimanendo sempre ancorati ben al di sopra dei 200 FPS medi con picchi di 250-270 frame al secondo, mentre con la 4070 Ti Super siamo scesi in 1440p con Frame Generation classica per mantenere gli stessi identici risultati di frame rate. In entrambi i casi abbiamo utilizzato il preset massimo disponibile tra le impostazioni grafiche con un risultato visivo eccellente. Complice infatti un comparto artistico spesso anche molto ispirato, DOOM: The Dark Ages è davvero un gran bel vedere con un orizzonte visivo sterminato, decine di nemici che si muovono su schermo e centinaia di proiettili vaganti che irradiano il terreno di combattimento. Non siamo davanti a un nuovo punto di riferimento tecnico per ciò che concerne i dettagli o la resa degli scenari e dei nemici demoniaci (o dei comprimari umani, davvero basilari nelle animazioni facciali), ma sicuramente lo siamo per quello che concerne la fluidità e la risposta dei comandi.
Dove però il gioco lascia davvero senza parole è nello streaming degli asset: un elemento che denota un livello tecnico raggiunto dall'id Tech (con questo gioco arrivato all'ottava versione), davvero straordinario che farebbe probabilmente impallidire l'Unreal Engine se solo questo motore venisse offerto agli sviluppatori esterni. DOOM: The Dark Ages non ha alcun tipo di pre-caricamento degli shader e ciò nonostante offre un avvio dei salvataggi e quindi degli scenari che è praticamente istantaneo. Parliamo di interi livelli che partono in meno di un secondo senza mostrare alcun tipo di pop-up e pop-in o di applicazione del level of detail nonostante la vastità degli ambienti. Talvolta sembra quasi di trovarsi davanti a uno di quei platform o rogue-like dove si muore e si riparte in un attimo senza caricamenti apprezzabili. Solo che qui siamo davanti a un gigantesco sparatutto in prima persona.
Muoviamo una nota di apprezzamento nei confronti della colonna sonora che riprende gli stilemi classici dei nuovi capitoli in modo credibile, omogeneo e coerente, senza mai diventare uno scimmiottamento del magnifico lavoro svolto da Mick Gordon con il capitolo del 2016 ed Eternal. Manca soltanto un vero e proprio tema che avrebbe dato probabilmente più carattere a questo episodio.
Infine buono il doppiaggio che è interamente in italiano e più che accettabile nella recitazione e nel missaggio dei volumi.
Conclusioni
DOOM: The Dark Ages ha la straordinaria capacità di trovare quell'equilibrio, sulla carta impossibile, tra l'apprezzamento nostalgico del passato tipico dei boomer shooter e la necessità di innovare un gameplay che altrimenti rischierebbe di essere ripetitivo, o comunque poco appetibile per chi si avvicina raramente o mai a questo genere. Ci riesce con delle idee solo all'apparenza banali come ad esempio la gestione della difficoltà o il sapiente loop di gameplay fatto di colpi di arma da fuoco, parate e assalti all'arma bianca, in una danza che diventa subito soddisfacente e viscerale al punto da creare una grande dipendenza. Ed è quindi un peccato che id Software abbia cercato di forzare la mano introducendo anche delle variazioni sul tema che diventano però ben presto dei meri riempitivi che, purtroppo, diluiscono l'azione e appiattiscono l'esperienza mostrando il fianco anche ad alcune limitazioni nel design dei livelli. Quello che rimane è un gioco che farà impazzire chi ha divorato i precedenti DOOM e adora passare del tempo di qualità con gli sparatutto in prima persona. E non è poco.
PRO
- Il combattimento è, in una parola, perfetto
- Tecnicamente è stupefacente specie per quello che riguarda streaming degli asset e caricamenti
- La gestione granulare della difficoltà aumenta a dismisura la rigiocabilità
CONTRO
- Le sezioni a bordo del drago rovinano l'esperienza complessiva
- Nelle mappe più aperte si nota una certa piattezza nel level design
- Talvolta si percepisce uno sfilacciamento tra filmati e gameplay