La cosa più entusiasmante in questi ultimi anni del mondo dei videogiochi sono le storie di redenzione. Cyberpunk 2077, No Man's Sky, Final Fantasy XIV sono tutti accomunati sia da un avvio difficoltoso che da un recupero formidabile, che li ha trasformati in storie, e prodotti commerciali, di successo. Ora, non che Bloober Team abbia nulla di cui scusarsi o farsi perdonare, ma il cambio di passo che lo studio polacco sta avendo negli ultimi anni è sempre più evidente, così come la qualità dei progetti a cui sta lavorando.
Dopo aver deciso di specializzarsi nel genere horror e aver preso le misure con prodotti più o meno riusciti (Layers of Fear, Blair Witch e The Medium), Bloober Team ha trovato la sua dimensione con il remake di Silent Hill 2, pure lui protagonista di un piccolo arco narrativo che è partito dalla sfiducia totale generata dal primo trailer per arrivare all'apprezzamento convinto della versione finale. Insomma, se c'è una cosa che si può imparare da chi viene dalla Polonia è che quella è gente che non si arrende.
Cronos: The New Dawn è il loro nuovo progetto, questa volta basato su una storia originale nonché perfetto esempio della loro crescita in questi ultimi anni. Nei panni di una specie di palombaro spazio-temporale chiamato il Viaggiatore (anche se sarebbe la Viaggiatrice visto che all'interno della pesante tuta c'è una donna), si devono recuperare le "essenze" di alcune persone, le cui conoscenze potrebbero aiutare il Collettivo (the Collective, nell'originale) a cercare di salvare quello che rimane del mondo, distrutto dopo un evento catastrofico avvenuto negli Ottanta chiamato il Cambiamento.
Tipico del genere horror è vedere la tensione crescere sempre di più fino a che lo spettatore non sa quello che si trova davanti: se non sai cosa ti sta attaccando, cosa ti vuole uccidere o il perché lo vuole fare, quella incertezza ti dilania, portando a trasformare tutto quello che vedi in una fonte di ansia e paura. È per questo probabilmente che c'è una certa resistenza, più che comprensibile, da parte del team di entrare troppo nel dettaglio della storia e dei suoi protagonisti, e tutto sommato va benissimo così. Lo stesso concetto del Collettivo e del Viaggiatore (inteso come ruolo) è vago, sfumato e soprattutto impersonale: la Viaggiatrice che impersoniamo noi, a quanto ne sappiamo, è solo una delle tante che si sono alternate nella ricerca delle essenze, e il nostro lavoro è tanto quello di andare avanti il più possibile quanto quello di preparare la strada per chi verrà dopo.
Anche se Cronos: The New Dawn non parla direttamente della pandemia da COVID-19 che ha sospeso le nostre vite per un paio d'anni nel 2020, questo è uno dei primi giochi che ne sono una diretta conseguenza: c'è anche qua un'epidemia che prima blocca tutti in casa e poi li costringe a fare scelte difficili, c'è il peso di andare avanti nonostante qualcuno sia rimasto indietro e c'è il desiderio di fare del bene per chi arriverà dopo. Ma soprattutto, c'è un desiderio quasi istintivo di contatto e di unione, che però in Cronos così come in ogni buon horror, è grottesco e malato, e si traduce nella meccanica centrale del suo sistema di combattimento.
Alle origini dei survival horror
Il Viaggiatore si muove all'interno di un mondo distrutto, come sospeso nel tempo, nel quale gli Orphan, cioè quel che resta dell'umanità, sono una genia di mostri (o almeno così sembra) che desidera solo attaccare ogni possibile minaccia. Quando questi vengono colpiti a sufficienza crollano al suolo, ma questo non vuol dire che il loro ruolo all'interno del gioco si sia esaurito: se infatti un altro di questi gli va vicino, può letteralmente assorbirlo, diventando così non solo più grosso, feroce e resistente, ma ereditandone pure le abilità.
Gli Orphan hanno infatti delle caratteristiche innate che sono quelle canoniche dei nemici che si incontrano nei videogiochi: qualcuno è lento e resistente, qualcuno veloce ma debole, qualcuno fa tantissimo male ma basta un alito di vento ad abbatterlo. Quando due di questi si fondono insieme, quello vivo prende anche le caratteristiche di quello morto, creando così dei mostri sempre più forti e pericolosi che possono essere sia veloci che resistenti, sia capaci di colpire da lontano che da vicino.
L'idea che nulla è davvero mai morto (non è del tutto così, ma ci arriviamo) si innesta perfettamente ad un gameplay che riesce a trasmettere perfettamente questo senso di oppressione e angoscia sconfinata. I Viaggiatori sono rinchiusi all'interno di una tuta massiccia, pesante, che non permette di essere particolarmente agili. La visuale in terza persona consente di avere un controllo maggiore dell'ambiente circostante, che però è sempre filtrato da una nebbia innaturale e da un'oscurità onnipresente, interrotta solo dagli assalti nemici.
Girare a piedi per Nowa Huta, il quartiere appena fuori Cracovia nel quale è ambientato il gioco (che è molto di più di una semplice location) non è qualcosa da fare a cuor leggero: i nemici non sono tantissimi ma sono resistenti, le munizioni, ma in generale le risorse, molto poche, e si ha sempre la sensazione che quello che si ha a disposizione non possa bastare per finire il livello che si sta facendo. Con Cronos: The New Dawn Bloober Team ha deciso di tornare alle origini del survival horror, lasciandosi pervadere dallo spirito del primo Resident Evil, dal quale ha evidentemente attinto (con gusto e rispetto) a piene mani. E allora bentornata scarsità delle munizioni e salvataggi solo nei punti prefissati, così come jump-scare e più in generale terrore ad ogni angolo.
Tanto terrore, pochissime munizioni
Ho giocato alle prime due ore dell'avventura, che si chiudono più o meno con l'estrazione della prima essenza (in generale se ne possono avere addosso contemporaneamente al massimo tre, e in base a quelle che si hanno si ha una diversa percezione della realtà e del mondo di gioco), che sono sufficienti a testimoniare il percorso in grandissima ascesa del team di sviluppo.
Cronos mi è sembrato sin da subito estremamente solido, con qualche bella trovata e un immaginario potente che può regalare grandi soddisfazioni. Riesce, per quanto è possibile capire in un orizzonte temporale così breve, a capitalizzare molto bene sulle sue principali fonti di ispirazione (Resident Evil, ma pure Dead Space, la serie di Netflix Dark e un po' di Carpenter qua e là quando si scivola nel body horror) e ad essere impegnativo senza essere frustrante.
Non sarà un gioco per tutti, perché il livello di dedizione e impegno che richiede è alto: non basta una tecnica sopraffina e una mira invidiabile per uscire indenni da ogni scontro, ma servirà anche una certa furbizia nell'utilizzo delle risorse ambientali (esatto, i barili esplosivi non potevano mancare) e soprattutto un'attenta gestione dei nemici. L'unico modo per non fare unire un nemico a un cadavere infatti è quello di bruciarlo: la tuta ha un colpo speciale che dà fuoco all'area intorno a sé, ma lo si può usare un numero molto limitato di volte, spesso molte meno degli effettivi nemici a schermo. E quindi il proprio posizionamento all'interno dell'ambiente di gioco diventa centrale per riuscire a mettere una sufficiente distanza tra tutti i nemici e non doverli bruciare uno a uno.
La sua anima da survival horror non viene fuori solo nella pericolosità dei nemici, ma anche, se non soprattutto, nella gestione delle scarsissime risorse che l'ambiente di gioco ostile mette a disposizione del giocatore. Vi faccio un esempio pratico. Poco dopo l'inizio dell'avventura si può iniziare a lavorare sulla crescita del personaggio: cose semplici come la propria resistenza, la potenza delle armi, la velocità di ricarica delle stesse o lo spazio a disposizione nell'inventario. La mia scelta è stata quella di migliorare da subito la capacità di fuoco della mia Viaggiatrice, che mi ha dato nel breve termine un vantaggio oggettivo, cioè quello di usare meno munizioni per uccidere i nemici, ma allo stesso modo, non avendo allargato l'inventario, mi ha limitato nella raccolta delle risorse. Il che, lo avrete capito, si è tramutato in uno svantaggio non da poco quando gli scontri si sono fatti prolungati, perché non avevo lo spazio sufficiente per raccogliere gli oggetti che mi avrebbero permesso di crearmi da me proiettili, oggetti curativi o avere una ricarica in più dell'indispensabile lanciafiamme. Non ci sono scelte giuste o sbagliate durante l'apocalisse, ma occhio a prendere le decisioni più aderenti al proprio stile di gioco.
Insomma, va data una certa fiducia a Cronos: The New Dawn, perché ci proverà in tutti i modi, soprattutto, all'inizio, a uccidervi ad ogni stanza, ad ogni scala e ad ogni seminterrato. Ma allo stesso modo proverà a farlo sempre seguendo un tacito accordo con il giocatore, per evitare di rendere frustrante l'esperienza di gioco.
C'è tanto ancora da scoprire di Cronos: The New Dawn: quanto la trama evolverà ad esempio, quanto gli enigmi ambientali (semplici puzzle che si risolvono manipolando dei nodi temporali per ripristinare passaggi interrotti) diventeranno stimolanti, quanto le abilità che il Viaggiatore potrà sbloccare andranno a intaccare gli equilibri del gioco, ma è certo che al momento Cronos sembra un titolo che sa cosa vuole fare, che non fa nulla per nasconderlo e che chiede al giocatore solo un'occasione per dimostrare il suo valore. Che forse, a ben vedere, è anche quello che si potrebbe dire per questa seconda parte della vita di Bloober Team.
CERTEZZE
- La meccanica della fusione dei nemici aggiunge un elemento tattico ad ogni scontro
- L'ambientazione è curata e di grande effetto
- La scarsità delle risorse rende ogni scelta sofferta e ogni decisione importante, esattamente come nei tempi di crisi
DUBBI
- La varietà delle ambientazioni e dei nemici è ancora tutta da capire
- Così come quanto influiranno davvero le essenze sul gameplay e sulla componente narrativa