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DOOM: The Dark Ages, Marty Stratton racconta lo sviluppo dello sparatutto in prima persona

Ci siamo lanciati in una lunga intervista con Marty Stratton, il producer della nuova trilogia di DOOM, per farci raccontare i retroscena di The Dark Ages.

INTERVISTA di Pierpaolo Greco   —   10/04/2025
DOOM: The Dark Ages avrà lo Slayer come protagonista
DOOM: The Dark Ages
DOOM: The Dark Ages
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Dopo che qualche settimana fa abbiamo finalmente provato Doom: The Dark Ages, c'è stata anche l'occasione di scoprire qualche gustoso aneddoto e retroscena del lungo iter di sviluppo grazie a una corposa intervista a distanza con Marty Stratton, il producer dell'atteso sparatutto di id Software.

Il terzo episodio che segna la ripartenza in chiave moderna di DOOM, arriva infatti a cinque anni di distanza da Eternal, che non sono propriamente pochissimi per un sequel che, pur innovando sotto ogni singolo punto di vista, non si discosta per ovvi motivi dall'impostazione generale della serie e da buona parte della lore costruita nei precedenti capitoli. Ma è chiaro che la volontà di id Software, lo sviluppatore, è di portare sul mercato il miglior DOOM di sempre, l'episodio più grande, ricco, vario, divertente e stratificato da quando Stratton e Martin hanno avuto l'opportunità di riprendere in mano il brand che, insieme a Wolfenstein 3D, ha inventato il genere degli sparatutto in prima persona.

E per far questo, non ci si può mai distrarre dall'iter di sviluppo, meno che mai quando manca appena un mese dall'arrivo del titolo sui mercati di tutto il mondo. E questo il producer ce lo dice immediatamente per giustificare la sua assenza all'evento di Francoforte mentre ci saluta calorosamente: "apprezzo molto la tua comprensione e mi spiace non esserci stato, ma siamo proprio nella fase finale e stiamo premendo tutti i pulsanti e le leve per far sì che il gioco sia esattamente quello che volevamo fosse", ci dice.

E così, mentre io sono in casa con il sole che si avvia verso il tramonto, nel collegamento Marty Stratton è alla guida della sua macchina per andare negli studi di id Software: la giornata per lui, in Texas, è appena cominciata e si deve sorbire le mie domande prima di potersi rimettere al lavoro per chiudere il suo progetto pluriennale.

Genesi e crescita di un nuovo capitolo di DOOM

Avendo Stratton a disposizione, non potevo fare a meno di partire dalla genesi di The Dark Ages, il capitolo che più di tutti segna una sorta di ritorno al passato storico della serie. E non intendo il DOOM del 2016, ma proprio i vecchi capolavori degli anni '90 di id Software. E quando faccio presente questo mio collegamento al producer, si illumina perché è consapevole che siamo sulla stessa lunghezza d'onda: "l'ispirazione deriva in gran parte da DOOM e DOOM 2", mi dice Stratton, "il team torna sempre a giocare quei giochi all'inizio dello sviluppo. Una delle cose che ne è emersa è quanto siano lenti i proiettili in quei titoli e quanto tutto sia ancorato al terreno: i proiettili si muovono nello spazio ma colpiscono duro. Il modo in cui li schivi, come funziona lo strafing per mirare, con i demoni posti sull'asse orizzontale. Quello è stato un grande, anzi enorme fondamento, un pilastro su cui The Dark Ages è stato costruito".

I riferimenti ai due DOOM degli anni 90 sono evidenti, anche esteticamente
I riferimenti ai due DOOM degli anni 90 sono evidenti, anche esteticamente

Insomma DOOM Eternal è stata quasi una digressione tra il capitolo del 2016 e questo nuovo episodio, una sorta di parentesi sperimentale dove tentare di accelerare il combattimento e offrire qualcosa di davvero differente rispetto al passato. Ma adesso l'obiettivo è proprio tornare agli antichi fasti, a quel combattimento ben piazzato sul terreno, dove al giocatore viene richiesto di studiare continuamente l'ambiente per avanzare inesorabile verso i demoni da massacrare con delle evidenti conseguenze anche sul sistema di controllo. "Penso che abbia decisamente un feeling diverso rispetto a DOOM Eternal, che invece dava ai giocatori molta verticalità e l'aspetto del volo", aggiunge Stratton, e noi confermiamo assolutamente dopo la prova di quasi quattro ore di qualche settimana fa.

C'è però una cosa che non mi ha convinto durante quell'hands-on, l'ho scritto nell'articolo e l'ho riferito anche a Marty Stratton: la semplificazione dei comandi tanto sbandierata durante gli eventi di annuncio di The Dark Ages mi è sembrata veritiera per chi giocherà con il joypad, ma non così efficace per chi sceglie di affrontare DOOM con la cara e classica accoppiata mouse e tastiera. "Penso sia una tua impressione", mi dice con un poco di stizza Stratton per poi proseguire, "abbiamo un buon equilibrio tra giocatori che usano tastiera e mouse e quelli che usano il controller, qui in studio e lo snellimento dei comandi è stato una priorità. Lo scudo, per esempio, ha davvero una profondità funzionale: fa un sacco di cose diverse, ma funziona solo con due pulsanti o due combinazioni".

Il combattimento melee è un elemento fondante anche dell'esperienza a bordo dell'Atlan
Il combattimento melee è un elemento fondante anche dell'esperienza a bordo dell'Atlan

Tutto lo sviluppo è stato all'insegna dell'ergonomia, evidenzia in più passaggi della nostra intervista Stratton: "quella parola - ergonomico - è stata usata spesso durante lo sviluppo, per comunicare al team cosa volevamo ottenere, sia che si trattasse di tastiera e mouse, sia di controller. Vogliamo che tu sia messo alla prova dal gameplay, dai demoni, ma non dovresti avere difficoltà con i controlli. Non dovresti dover pensare a quale tasto premere. Un esempio è l'istinto naturale di premere lo stick destro quando sei in modalità panico. Lo usi per eseguire un colpo corpo a corpo su qualsiasi cosa ti stia di fronte".
Peccato che questa cosa non sia fattibile, letteralmente, con una tastiera, tantomeno con i due soliti tasti del mouse e quindi, in qualche modo, Stratton ha confermato quella che era una nostra impressione, ovvero che DOOM: The Dark Ages, in fondo in fondo, si giochi meglio col pad. Alla faccia dei vecchietti come me.

L'importanza della varietà

C'è anche un altro elemento che non mi ha particolarmente convinto di questo nuovo capitolo di DOOM e su cui ho lasciato alcune riserve nell'articolo di prova: la scelta di id Software di non puntare esclusivamente sulla meccanica classica della serie reiterata per una ventina di ore, ovvero un livello labirintico dopo l'altro dove far fuori migliaia di demoni. Bensì stavolta nel gioco sono stati aggiunti il controllo dell'Atlan - una sorta di mech enorme - del drago volante e anche la variazione sul tema rappresentata dalle mappe più aperte e vaste dove combinare i combattimenti con l'esplorazione libera alla ricerca di collezionabili e upgrade. Ma c'è davvero necessità di questa iniezione di libertà?

Lo Slayer in versione medievaleggiante è davvero un gran figo
Lo Slayer in versione medievaleggiante è davvero un gran figo

"No, aspetta, questo è ancora un gioco lineare. Non è un open world. Abbiamo delle mappe che sono un po' più aperte - le chiamiamo sandbox - che ti permettono di esplorare a un livello che non avevi mai avuto in un gioco di DOOM prima d'ora. Ma è ancora un gioco con una campagna lineare. E mentre procedi, hai quella sensazione di conquista, di storia, quella narrazione epica che si sviluppa durante tutta l'esperienza. Elementi come una mappa sandbox o un'esperienza con l'Atlan o volare con il drago, sono semplicemente ottimi elementi per variare il ritmo del gameplay". Tra l'altro Stratton ci tiene a sottolineare per più volte durante l'intervista che questo è il DOOM più grande, ampio e massiccio di sempre: "ci sono 22 livelli. È epico. È il più grande dei giochi che abbiamo fatto e penso che questi momenti di pausa nel ritmo siano davvero benvenuti".

Il loop di gameplay è insomma quello familiare di uno sparatutto in prima persona dove conta uccidere qualsiasi cosa ci si pari davanti, dove l'intensità è alle stelle e spesso si percepisce il proprio cuore che batte all'impazzata, nei rari momenti in cui questo battito non è coperto dal ritmo incessante della colonna sonora, ma non mancano anche delle pause che servono "ad esplorare, cercare segreti, trovare oro che puoi usare per potenziare le armi. È un ciclo molto familiare se hai già giocato a DOOM, ma ora portato a una scala massima e con un tocco moderno che penso i fan apprezzeranno davvero". Marty Stratton è convinto che lui e Hugo Martin abbiano trovato la quadra perfetta e chiaramente tutti noi dovremo aspettare il gioco finale per confermare o smentire questa loro considerazione.

Scudo e parata: due facce della stessa medaglia

Bastano davvero dieci minuti a DOOM: The Dark Ages per rendersi conto quanto lo scudo e lo strafe siano capaci di definire da soli il gameplay del capitolo. E dallo scudo derivano le parate, introduzione cruciale che altera sostanzialmente tutto quello a cui gli sparatutto in prima persona ci hanno abituato fino ad oggi. Immaginando che non sia stato facile disegnare il gameplay di uno shooter infilandoci dentro uno scudo, ho voluto chiedere a Stratton quando il bilanciamento odierno sia frutto di un percorso di sviluppo e di "trial and error" intenso e sfiancante.

Come può esserci un DOOM senza un Super Shotgun?
Come può esserci un DOOM senza un Super Shotgun?

"Fin dall'inizio avevamo lo scudo. Non siamo sviluppatori che vanno a cercare idee a caso e poi dicono "Oh, questa è figa, mettiamola". Quando succede è sempre all'interno di una direzione creativa molto definita. Con la parata in particolare, come mi chiedevi, non è stata solo una questione di "funziona o no", ma abbiamo dovuto calcolare tutte le finestre temporali. Quando applichi la possibilità di parare a più di 30 intelligenze artificiali diverse, devi mettere a punto tempistiche specifiche, finestre di reazione, tempi di preparazione di un attacco e così via. Tutta questa matrice di possibilità, dove il giocatore fa qualcosa contro tanti nemici diversi e deve anche sperimentare una varietà, è ciò che ha richiesto più tempo".

Ma da dove è arrivata l'ispirazione per implementare proprio lo scudo in un gioco come DOOM? Alla mia domanda, Stratton risponde immediatamente, ben contento di rivelare questo retroscena: "una delle ispirazioni è stato 300 [il film di Zack Snyder basato sull'opera di Frank Miller]. Hai presente quel momento con Leonida che combatte alle Termopili? Quella ripresa panoramica, quello shot che segue il protagonista mentre combatte con lo scudo? Ecco quella è stata una delle cose che Hugo [Martin] ha mostrato al team, e ha detto: questo è il punto di riferimento per come vogliamo che i giocatori si sentano nel corso di tutta l'esperienza, non solo per cinque secondi". Ed effettivamente quando si è nei momenti più concitati dell'azione e ci si lancia nel campo di battaglia menando fendenti melee e colpi di scudo, l'adrenalina pompata in circolo è tanta.

L’ultimo superstite di un genere a rischio di estinzione

Quando il tempo a mia disposizione cominciava ad esaurirsi, ho pensato di scambiare con il producer due riflessioni più esistenzialiste rispetto alle pure domande sul gioco. Sono convinto infatti che vedere nel 2025 uno sparatutto in prima persona puramente single player, realizzato con valori produttivi da Tripla A, sia davvero una rarità. Forse addirittura un qualcosa che non capiterà più per molto tempo. Mi sono chiesto, guardando Stratton, se DOOM potesse essere l'ultimo esponente di questo genere, un genere a rischio di estinzione.

Le sezioni a bordo del drago volante non ci hanno convinto durante la prova, ma speriamo di ricrederci col gioco finale
Le sezioni a bordo del drago volante non ci hanno convinto durante la prova, ma speriamo di ricrederci col gioco finale

"Sai, nonostante DOOM 2016 e DOOM Eternal avessero il multiplayer, questo è un gioco solo single player. Lo abbiamo deciso guardando quante persone giocavano a DOOM solo per la campagna. All'inizio del progetto ci siamo detti: se fai un gioco multiplayer oggi, devi praticamente decidere che sarà un game as a service. E per noi, questo non è DOOM al giorno d'oggi. E allora ci siamo chiesti: cosa possiamo fare con le risorse, il tempo, tutto il necessario per creare un live service? Abbiamo quindi raddoppiato, anzi triplicato l'investimento nella campagna e l'abbiamo resa la più grande, la migliore, la più audace che abbiamo mai creato. E questo ci ha permesso di fare cose come l'Atlan, il drago, spingere la storia e le cinematiche a un livello molto superiore a tutto ciò che abbiamo mai fatto prima". Stratton è un fiume in piena, il suo entusiasmo è palpabile: "da un punto di vista creativo e produttivo, siamo incredibilmente orgogliosi di quelle scelte iniziali che ora ci hanno permesso di realizzare tutto questo".

Non ho voglia di fermare questa catarsi, ma allo stesso tempo sento il bisogno di concludere con una domanda che difficilmente mi capita di poter fare ad uno sviluppatore, in particolare un producer, che per più di dieci anni ha lavorato allo stesso brand, portando sul mercato 3 capitoli differenti: come è cambiato il mercato in questo lasso temporale? Si stava meglio dieci anni fa, oppure è più bello oggi? Stratton ci pensa un poco, seduto sulla sedia di una sala riunioni dell'ufficio dove l'ho seguito fin da quando ha completato il suo viaggio in macchina, ha attraversato l'ingresso di id Software, preso l'ascensore e raggiunto la sua postazione di lavoro. Sorseggia ancora lo stesso bibitone di caffè che si è portato da casa prima di rispondermi.

Marty Stratton è il producer di DOOM: The Dark Ages per id Software
Marty Stratton è il producer di DOOM: The Dark Ages per id Software

"Penso che sia meglio adesso. Abbiamo ottenuto risultati migliori con ogni gioco, con ogni DOOM che abbiamo realizzato. DOOM Eternal è andato meglio di DOOM 2016. E non faremmo The Dark Ages se non ci credessimo perché i giochi oggi sono troppo costosi. Quando dico che è il gioco più grande, audace, ambizioso che abbiamo mai fatto, è l'espressione di tutto ciò che ci abbiamo messo dentro. E non lo faremmo se non credessimo che il pubblico sia cresciuto e ci siano più persone da raggiungere".

Appena conclusa la frase, Stratton rimane lì, solo nell'enorme sala riunioni, un po' sornione, forse a riflettere su quanto siano stati faticosi questi anni, o magari immaginando come sarà la sua giornata odierna tra milestone da raggiungere, bug da ripulire e codice da ottimizzare. Io lo guardo, aspetto qualche secondo, lo ringrazio per il tempo che mi ha concesso e gli auguro buona fortuna. Da me è praticamente sera, da lui il sole è quasi allo zenith di una giornata in cui id Software dovrà pensare a pulire al massimo DOOM: The Dark Ages visto che manca poco più di un mese al 15 maggio: il giorno in cui il gioco uscirà su PC, PS5 e Xbox. E a quel punto si capirà se l'investimento è valso la pena.