Vi abbiamo già raccontato le brevi storie del ronin, del viandante e del tagliagole.
In questo episodio di Racconti dal Sol Levante (rubrica che cerca di conciliare parole e immagini per narrare una breve storia ispirata da Ghost of Tsushima) vi racconteremo le avventure di un samurai estremamente fedele al suo signore, incaricato di liberare la regione da uno dei maggiori capi dell'esercito mongolo che invade l'isola.
Il samurai
In un avamposto poco lontano dalla via principale per Forte Imai, dei soldati mongoli scherzavano e cantavano in un momento di lieto riposo.
Le due guardie posizionate all'ingresso principale erano catturate da un acceso dialogo mentre bevono del sakè, quando a un tratto una delle due scorse una figura avvicinarsi. Era un uomo imponente, con indosso un'armatura nera come la pece. Sull'elmo erano posizionate due magnifiche corna di cervo. Il volto era coperto da una maschera scura, dal ghigno malefico.
Erano le prime luci dell'alba, quindi la figura risultava armonica nella struttura, come se si trattasse di un demone del bosco, avvolto nella nebbia, pronto a catturare le anime di chi incontra sul suo cammino per occultarle nel cupo intrigo selvatico. L'uomo si fermò poco distante le mura. L'epilogo di questo incontro è a noi ormai noto.
A terra, il sangue incontrava la via del sakè. La musica all'interno del campo si fermò. L'uomo varcò la soglia lentamente, mentre la mistura liquida seguiva i suoi passi, incastonati nel fango fino alla prossima pioggia. Ai soldati non servì andare a controllare: l'inquietante silenzio e il sangue che accompagnava l'intruso oltre il cancello fece immediatamente capire loro che le anime dei loro compagni si erano già perse nel bosco.
Il prezzo della speranza
I mongoli si riversarono con tutta la loro furia sul guerriero. La tecnica di quest'ultimo era infallibile. Con il minimo sforzo riusciva ad abbattere anche i combattenti più abili.
I fendenti squarciavano facilmente il metallo mongolo e i tessuti provenienti dalla via della seta. Le sgargianti armature perdevano la loro lucentezza a causa della pioggia di fango che scaturiva dai movimenti fulminei del samurai.
Uno dopo l'altro, tutti gli uomini dell'accampamento caddero. Tranne uno. Dietro a dei sacchi di grano, un soldato semplice, armato solo di coltello, si nascondeva in attesa di un buon momento per scappare e andare ad avvisare i suoi superiori. Il samurai, nel frattempo, era in cerca di informazioni utili che gli permettessero di portare a compimento l'incarico fornitogli dal suo signore.
Mentre era accovacciato, occupato a frugare tra i resti dei soldati, il sopravvissuto si diresse velocemente all'esterno dell'accampamento. Era convinto di essere sfuggito alla morte, ma un dolore lancinante alla coscia lo riportò nuovamente alla realtà, abbracciato dalla gelida melma fangosa di Tsushima.
Scalare i ranghi
Le urla strazianti del mongolo si propagavano per tutta la valle. La sua gamba sanguinava copiosamente, ma estrarre la freccia avrebbe solo accelerato la morte.
Il samurai sapeva che i lamenti del soldato sarebbero stati uditi ben presto da qualche pattuglia in ricognizione, estremamente numerose nelle vicinanze del forte. Quindi, si avvicinò in tutta fretta al moribondo.
"Dove si trova il tuo comandante? Doveva essere qui questa mattina. Parla, prima che ti faccia un buco anche nell'altra gamba!"
L'uomo iniziò a parlare in mongolo. Dai gesti era evidente che stesse cercando di far credere al guerriero giapponese che non avesse idea della sua attuale posizione. Un urlo ancora più straziante squarciò l'aria, come fece la lama del samurai con la carne della gamba buona del soldato.
"Nella mia lingua."
Le lacrime solcavano il volto del mongolo, che si apprestò a rispondere.
"Va bene, va bene! Parlerò! Il comandante non è venuto perché il Kahn gli ha ordinato di attaccare una cittadina lì vicino, dove vive uno degli ultimi signori che si oppongono alle forze mongole. Per favore, risp..."
La katana affondò nel petto del soldato, che guardò sconcertato il luccicante splendore della lama mentre la sentiva trapassargli il cuore.
Il samurai pulì velocemente l'arma dal sangue nemico e chiamò il suo cavallo, che fuoriuscì dalla boscaglia. Montò in sella e spronò il cavallo come mai prima.
I pilastri della guerra
Una foresta dai colori delle fiamme si apriva dinanzi al cavaliere. In lontananza, del fumo si alzava alto nel cielo.
Dopo una lunga cavalcata, il samurai arrivò finalmente a destinazione. Il palazzo del suo signore ardeva ancora. Le fiamme erano diventate le nuove, rigogliose chiome degli alberi che circondavano la sua dimora. Entrato velocemente all'interno dell'edificio, cercò invano dei superstiti. Tutto era divenuto cenere.
Il samurai si inginocchiò e estrasse la sua lama. La poggiò sulle ginocchia. Chinò la testa. Poi la impugno e la posizionò in direzione del suo ventre. Era pronto a compiere l'estremo gesto, quando notò un bagliore provenire da una fessura nel muro. Come ipnotizzato, il samurai si alzò, lasciò cadere la spada e si diresse verso la superfice sulla quale si riflettevano le cupe vampe. Con uno strattone, stacco le assi di legno che coprivano il misterioso oggetto.
Dinanzi ai suoi occhi si trovava un'armatura simile a quella che aveva indosso, ma con una colorazione differente e con rifiniture sfarzose. Era l'armatura della famiglia che serviva, appartenuta al più remoto antenato, una figura mitica, dalle capacità innate in combattimento. Si narra che riuscì a salvare da solo l'armata di un antico Shogun.
Il signore aveva raccontato dell'armatura al samurai, ma quest'ultimo non aveva mai avuto modo di vederla. Gli bastò guardarla per qualche istante per capire che la sua morte non avrebbe portato alcun beneficio alla memoria del suo signore o alla salute della sua terra. In quel momento, tutto gli fu chiaro.
Quella stessa sera, un soldato di bianco vestito si avvicinò alle mura di Forte Imai, non visto. O, almeno, questo era ciò che credeva, fino a quando sentì una voce alle sue spalle. Sguainò la katana e si voltò fulmineamente.
"Ehi, abbassa la lama. Sappiamo entrambi che non avresti speranze contro di me, fratello."
Un uomo con la benda sugli occhi gli sorrise. Accanto a lui si trovava un altro individuo con una leggera veste rossa e un cappello di paglia rovinato.
"Vedo che siamo tutti qui."
I tre guerrieri si voltarono nella direzione dalla quale provenivano le parole. Erano state pronunciate da un uomo con una pelliccia sulle spalle. Qualche passo dietro di lui si trovava un ultimo uomo, privo di armi, con solo una sacca e uno strumento a crode al seguito.
Il guerriero quel giorno perse una famiglia, ma ne ritrovò un'altra, una dalla quale si era volutamente allontanato. E quella notte, fuori le mura di Forte Imai, si trovavano un viandante, un ronin, un tagliagole, un bardo e un samurai. Tsushima reclamava la propria dimora.
Questo era il quarto capitolo di Racconti dal Sol Levante. Stiamo per arrivare alla conclusione di questo viaggio scaturito dal mondo di Ghost of Tsushima. In attesa dell'ultimo tassello, fateci sapere cosa ne pensate nei commenti.