Sul finire del 2024 Will Tavlin di N+1 Magazine ha pubblicato un dettagliato articolo che disseziona la crisi del modello di business di piattaforme di streaming come Netflix e Amazon Prime Video. Da quell'analisi è emerso un estratto che è salito immediatamente agli onori della cronaca: i manager di queste compagnie vogliono che gli sceneggiatori facciano ripetere più volte ai personaggi le loro intenzioni e tutto quello che sta accadendo sullo schermo. Ciò succede perché il pubblico contemporaneo fruisce dei contenuti in maniera distratta, senza prestare particolare attenzione alla vicenda: i produttori hanno scelto di inseguire la fetta più vasta dell'utenza "casual", tentando di semplificare e omogeneizzare i progetti al punto tale da renderli un perfetto sottofondo per le faccende quotidiane.
In caso vi fosse capitato di esperire un videogioco AAA nel corso degli ultimi anni è molto probabile che questa situazione vi suoni parecchio familiare. Se le sceneggiature della maggior parte dei grandi progetti sembrano ormai da tempo seguire le stesse direttive dei produttori Netflix, accantonando completamente vecchie massime come la sempreverde "Show, don't tell", la differenza è che tale fenomeno si è verificato anche nelle meccaniche relative all'interazione. In lotta per sottrarsi a vicenda un bacino d'utenza che ha arrestato la sua crescita, tanti grandi publisher hanno ragionevolmente imboccato la strada della semplificazione, ma il sentimento comune è che l'asticella sia stata abbassata un po' troppo.
Ciò che non ha fatto notizia dell'articolo di Will Tavlin riguardo serie e film in streaming sono invece i dati relativi alle singole produzioni: le Top 100 sono dominate da film d'azione degli anni '90 e produzioni di fantascienza con dieci anni sul groppone come Edge of Tomorrow con Tom Cruise ed Emily Blunt. Per questa ragione, piattaforme come Netflix avrebbero smesso di comunicare il numero di visualizzazioni complessivo in favore del tempo totale di visione, anche se quest'ultimo dovesse ammontare a un singolo minuto per utente. Tavlin conclude che il pubblico preferisce in maniera chiara e netta i film del passato, costringendo le compagnie a nascondere la reale situazione.
Anche in questo caso il parallelismo con il mondo dei videogiochi è piuttosto evidente: il 2024 è stato uno degli anni peggiori per i nuovi videogiochi, dato che solo in Europa hanno vissuto un calo del 30% senza che nessuna nuova IP raggiungesse la Top 10. Ciò detto, non è un segreto che gli utenti di Steam preferiscano giocare per l'ennesima volta a Skyrim anziché vivere Dragon Age: The Veilguard, esattamente come quelli di Netflix tornano su Edge of Tomorrow ignorando l'ultima avventura di Jason Momoa. La semplificazione dei videogiochi AAA si è spinta troppo oltre il limite o si tratta della strada giusta verso il futuro?
Il caso della "Vernice Gialla"
Nei giorni scorsi Dale Driver di IGN si è seduto a un tavolo con Edd Coates, sviluppatore e gestore di Game UI Database, per discutere della vernice gialla che sta diventando onnipresente nei videogiochi, quella che in produzioni come Final Fantasy VII Rebirth e Resident Evil 4 viene utilizzata per segnalare strade da seguire, appigli e scale a pioli su cui è consentito arrampicarsi. L'argomento ha scatenato un acceso dibattito spaccando a metà la comunità degli appassionati: mentre da una parte si è schierato chi apprezza l'implementazione di segnali di questo genere, magari per il poco tempo a disposizione o per la leggerezza che si aspetta dall'esperienza videoludica dopo una lunga giornata, dall'altra si sono sollevate le voci di chi la ritiene una soluzione pigra e soprattutto nemica dell'immersione.
Come suggerito dallo stesso Coates la vernice gialla non rappresenta il cuore del problema, del resto non è poi così diversa dai barili di colore rosso a cui da sempre si è portati ad associare un'esplosione, ma è un risultato del tempo e dell'impegno richiesti per progettare soluzioni alternative capaci di preservare il precario equilibrio fra la necessità di guidare il giocatore e quella di farlo immergere nell'ambiente virtuale. Il "sentiero dorato" che conduce verso la conclusione del videogioco è intrinsecamente nemico dell'immersione, ma mai come oggi gli sviluppatori si stanno confrontando con un pubblico che fatica ad arrivare fino ai titoli di coda (le percentuali di completamento dei giochi restano sempre molto basse). Il problema è che, mentre tante persone apprezzano questa dinamica, sono in molti a ritenere che il limite sia stato superato nel contesto delle produzioni AAA.
Giocatori tenuti per mano e buone pratiche
Giocando Dragon Age: The Veilguard con le opzioni di default, quando si ottiene una missione, accade che tale missione appare nel lato destro dell'interfaccia, un segnalatore spunta nella mini-mappa e un altro ancora si prende il centro dello schermo. A quel punto, i compagni gestiti dalla IA iniziano ad avvisare il protagonista quando si trova sulla strada giusta, lo avvertono che l'obiettivo si trova nelle vicinanze, e ciò accade anche in relazione agli enigmi - spesso si tratta semplicemente di distruggere bolle di corruzione - che punteggiano l'esperienza. Un approccio per certi versi simile aveva scatenato discussioni attorno a God of War: Ragnarok, opera nella quale i compagni di viaggio di Kratos si erano fatti davvero troppo loquaci, arrivando a svelare in modo plateale la soluzione dei rompicapi, convincendo gli sviluppatori ad aggiungere successivamente un'opzione dedicata per eliminare i suggerimenti.
Che si tratti della progettazione delle interfacce, di design dei livelli, del modo in cui sono gestite le missioni e addirittura dei sistemi di sviluppo da gioco di ruolo, sta diventando sempre più difficile imbattersi in produzioni in tal senso equilibrate. In Baldur's Gate 3, per esempio, succede che il protagonista si lasci scappare riflessioni come: "Acqua pulita, significa che ci dev'essere un insediamento nelle vicinanze", il che è una testimonianza del fatto che con la giusta sensibilità anche l'aiuto vocale riesca a premiare l'immersione; tuttavia, quel genere di sensibilità è parecchio difficile da sviluppare, inoltre sarebbe necessario tarare di volta in volta aiuti e semplificazioni sulla base del pubblico di riferimento.
Spesso trattando l'argomento viene chiamata in causa la serie Assassin's Creed dal momento che Ubisoft è stata pioniera dei processi di semplificazione, trasformando meccaniche come l'Occhio dell'Aquila in standard dell'industria, ma soprattutto progettando vastissime mappe open world da esplorare seguendo segnalini e indicatori. La cosa interessante è che, quando in produzioni come Assassin's Creed Odissey fu offerta la possibilità di attivare o disattivare i waypoint relativi alle missioni, emersero tutte le difficoltà legate alla navigazione di ambientazioni progettate in principio per funzionare grazie ai GPS. Prima del 2017, anno dell'avvento di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, il pubblico si era ancora una volta spaccato fra utenti convinti che i segnalini stessero lentamente distruggendo il design dei mondi aperti e persone ben felici d'essere guidate, poi all'improvviso è come se fosse cambiato qualcosa: gli appassionati hanno prima riscoperto e poi iniziato a rimpiangere missioni non segnalate e altre reliquie di un'epoca lontana.
Nel 2022 si parlò di una questione simile perché un UX designer di Ubisoft, assieme a sviluppatori di Guerrilla Games e Nixxes, espresse dissenso verso il successo critico di Elden Ring, arrivando ad affermare: "La UX fa talmente schifo che immagino gli sviluppatori di FromSoftware che fumano in ufficio davanti ai TV CRT". Ciò sottolinea una chiara difficoltà nell'accettare scelte trasversali riguardo l'approccio dell'utente all'esperienza: è evidente che anche Elden Ring tenga per mano il giocatore, ma lo fa per lo più in maniera invisibile, adottando una struttura e degli strumenti decisamente più impegnativi da integrare rispetto a tutorial espliciti o pennellate di vernice gialla, alcuni dei quali approfonditi da Mark Brown in un'analisi dedicata.
Per capire le sottigliezze che possono caratterizzare l'atto di guidare silenziosamente il giocatore consigliamo anche il documentario The History of Bethesda Game Studios di NoClip. In quella sede si parlava delle dozzine di strumenti occulti che gli sviluppatori hanno utilizzato per traghettare gli appassionati in giro per i loro mondi aperti. In Fallout 4, per esempio, l'unica fonte di luce che si proietta nel cielo notturno è Diamond City, indispensabile per il proseguo della storia, mentre la maggior parte degli edifici sono studiati per nascondersi perfettamente nella scenografia, quelli che racchiudono missioni importanti sono dipinti di colori accesi, fra il blu delle strutture high-tech e il verde di quelle mediche.
Secondo Edd Coates, alla maggior parte degli sviluppatori che, per esempio, si occupano di User Experience e interfaccia, piacerebbe molto trovare soluzioni alternative rispetto a quelle meno immersive, ma il problema sta nei tempi di sviluppo. Ciò detto, le dichiarazioni di altri professionisti sembrano muoversi nella direzione opposta e a complicare ulteriormente la questione intervengono le reazioni dell'utenza: una grossa fetta del pubblico si lamenta di essere tenuta eccessivamente per mano, ma tantissimi altri giocatori hanno speso parole d'apprezzamento verso strumenti di facilitazione che vanno molto oltre la vernice gialla. Dove, invece, l'utenza sembra unita sotto lo stesso stendardo, è nella crociata contro la semplificazione delle meccaniche, specialmente in giochi di ruolo come quelli di Bethesda Softworks e Square Enix, che nel corso degli anni si sono fatti sempre più asciutti e immediati rispetto ai predecessori.
"Tell, tell, tell"
Lo stesso fenomeno si è esteso agli apparati della scrittura, nel cui caso è possibile fissare una puntina attorno alla fine del 2019, momento in cui sembra essere misteriosamente cambiato l'approccio all'esposizione. Un esempio che ha fatto discutere è la differenza percepita fra i due recenti capitoli di God of War di Santa Monica Studio, con Ragnarok che è andato incontro a un fenomeno definito scherzosamente come "Disneyzzazione", per fare un accostamento alla deriva imboccata dal colosso della cinematografia. Frasi sempre più didascaliche, reiterazione dei concetti, incongruenze nella continuità e l'adozione di un linguaggio via via più elementare - forse nell'inseguimento di certificazioni PEGI inferiori - hanno iniziato a farsi largo nella maggior parte delle grandi produzioni, quasi a voler ricalcare ciò che sta accadendo nel cinema e nelle serie televisive.
In alcuni casi, come quello di BioWare, molti degli autori che hanno lasciato la compagnia durante gli anni 2010 hanno parlato della volontà della dirigenza di risparmiare sempre più soldi nella scrittura, elemento ritenuto poco importante; è ironico che, nei confini di The Veilguard, quello che rappresentava il maggior punto di forza della serie Dragon Age si sia trasformato nella principale fonte di critiche. Gli esempi di questo genere si sprecano perché - salvo grandi eccezioni - quasi tutti i brand più famosi sono andati incontro a una semplificazione molto simile a quella che ha caratterizzato le piattaforme di streaming video, quasi come se le direttive fossero state le stesse.
Profondità dei videogiochi, tetto della complessità e target audience
Abbiamo fatto tanti esempi che hanno poco da spartire l'uno con l'altro perché il tema della semplificazione è parecchio complesso e vario: oltre a essere intrinsecamente necessario - perché un videogioco complicato non significa assolutamente un buon videogioco - investe tantissimi aspetti della progettazione, dall'UI design alla UX design, dal mission design fino alla scrittura, e può toccare dozzine di processi dello sviluppo. Il professore e game designer Lewis Pulsipher ha trattato spesso questo argomento, fra l'altro citando una massima di Antoine de Saint-Exup'ery: "Un designer sa di aver raggiunto la perfezione non quando non ha più niente da aggiungere, ma quando non ha più niente da sottrarre". In linea di massima la semplificazione dei videogiochi è una cosa indispensabile, oltre che apprezzabile.
La patata bollente sembra risiedere nella profondità: "Easy to learn, hard to master" - "facile da imparare difficile da padroneggiare" - è stata a lungo una frase guida per un certo tipo di sviluppo. Oggi, come notato dallo studioso di fighting game Gerald Lee, nei processi di semplificazione dei videogiochi si tende ad abbassare la barriera d'ingresso per cercare di renderli adatti a un'utenza più ampia, ma si finisce per tagliare fuori il pubblico di giocatori "core" del genere specifico. Nei picchiaduro, per esempio, si sta riducendo giustamente lo "skill floor", ma si è conseguentemente abbassato uno "skill ceiling" che andrebbe mantenuto elevato: il risultato è che si attirano tanti nuovi giocatori al momento del lancio, ma si allontana proprio quel nucleo di base installata che consente ai titoli di sopravvivere per anni.
Questa profondità, per intenderci, è quella che consente a produzioni come Pokémon di godere di un immenso pubblico di giovanissimi accanto alla scena competitiva VGC, una delle più popolate al mondo. Realizzare opere nello stile di Nintendo, che rispondono alle esigenze di un'utenza da 0 a 99 anni, non è affatto semplice, ma il nodo principale da sciogliere è quello della target audience: visto l'incremento dei costi di sviluppo, molti produttori stanno comprensibilmente cercando di ampliare il proprio mercato salvo finire per deludere il pubblico di riferimento. RPG come quelli di BioWare non sono il luogo adatto in cui semplificare la scrittura o lesinare sulla libertà di scelta, God of War non è il brand giusto in cui inseguire un linguaggio adolescenziale, esattamente come la rimozione di elementi "di ruolo" non si addice a Final Fantasy e i sistemi GPS mettono a rischio i giochi basati sull'esplorazione.
Tutti i videogiochi si stanno semplificando, anche i più grandi successi e i titoli storicamente più complessi: nella saga di The Legend of Zelda oggi capita di trovare segnalini luminosi sulla mappa, Elden Ring tiene traccia della posizione dei personaggi non giocanti, Path of Exile 2 ha reso estremamente più abbordabile il suo sistema di progressione, Baldur's Gate 3 non richiede alcun genere di conoscenza pregressa riguardo i giochi di ruolo carta e penna, persino Monster Hunter ha chiarito la maggior parte delle sue dinamiche più oscure, e di conseguenza il pubblico è incrementato enormemente. La parte difficile dell'equazione sta nel riuscire a individuare gli elementi che si possono semplificare senza intaccare l'essenza dell'opera, preservando l'anima che è stata in grado di far innamorare il pubblico che le ha rese grandi, talvolta nascosta nella scrittura, altre volte nelle meccaniche, altre volte ancora nella navigazione.