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Indiana Jones e l'Antico Cerchio è il film che ci saremmo meritati

L'atemporalità del videogioco ha permesso a MachineGames di confezionare un prodotto più fedele degli ultimi due film con protagonista l'archeologo più famoso del mondo

SPECIALE di Lorenzo Kobe Fazio   —   11/12/2024
Indiana Jones all'interno di un tempo abbandonato, in un artwork del gioco Indiana Jones e l'Antico Cerchio
Indiana Jones e l'antico Cerchio
Indiana Jones e l'antico Cerchio
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Non è facile per un saga cinematografica attraversare indenne le pieghe dello spazio-tempo. Gli attori invecchiano, i registi si alternano, gli sceneggiatori maturano esigenze diverse. Più di ogni altra cosa, la società, il mondo, la sensibilità su determinate tematiche cambiano inevitabilmente. Soprattutto quando il pubblico di riferimento non è ben definito, quando il team di produttori e creativi non mette nero su bianco quale sia l'obiettivo della pellicola di turno è facile deragliare, dare forma ad un progetto che non accontenti realmente nessuno.

Lo vediamo abitualmente sia con tanti adattamenti, a metà strada tra la fedele trasposizione e la pesante reinterpretazione, sia con i sequel, in bilico tra la pedissequa riproposizione di stilemi classici e un'innovazione spesso forzata e in larga parte determinata dagli ormai imperanti algoritmi. Jurassic Park, RoboCop, Ghostbuster, Alien, persino Star Wars sono stati più o meno fagocitati in questo processo e resi protagonisti di rilanci nella maggior parte dei casi sgraziati e zoppicanti.

Sorte simile è accaduta anche a Indiana Jones. Serie cinematografica dormiente dal 1989, anno de L'ultima Crociata, è stata bruscamente risvegliata dal suo sonno criogenico nel 2008 con una pellicola che aveva tutte le intenzioni di rappresentare un passaggio di consegne, un eventuale quanto auspicato superamento di Harrison Ford nel ruolo, sempre più stretto ed improbabile, di Indiana Jones. Purtroppo, sappiamo tutti come è andata. Di Shia LaBeouf si parla più per le imprese collezionate lontano dalle cineprese. Al Dottor Jones è toccato rimettersi in gioco ne Il Quadrante del Destino, nonostante l'età avanzatissima del suo interprete.

Anche il personaggio ideato da George Lucas, insomma, è caduto nella trappola della riproposizione fine a sé stessa, nel sequel che strizza l'occhiolino ai fan di lunga data, ma che per forza di cose deve adattarsi ai tempi che corrono, al nuovo pubblico che intanto è venuto a formarsi e che ha gusti diversi. Il risultato, neanche a dirlo, è una coppia di film insipidi, poco ispirati, che non hanno realmente convinto nessuno.

Per fortuna, a regalare una vita extra al marchio ci ha pensato Indiana Jones e l'Antico Cerchio, gioco che ha conquistato un meritatissimo nove nella nostra recensione, e che sta appassionando un numero crescente di videogiocatori in queste prime ore post-lancio. Vale quindi la pena chiedersi: perché gli ultimi due film non hanno convinto e invece il videogioco potrebbe paradossalmente salvare la saga dall'oblio?

Quel sorriso, quel maledetto sorriso

Partiamo da un dato di fatto, recuperando l'introduzione di questo articolo. Se gli attori invecchiano, i registi si alternano, gli sceneggiatori maturano esigenze diverse, i videogiochi hanno il potere di smarcarsi, pur parzialmente, da padre tempo. Questa è senza alcun dubbio la prima e più impattante cifra, stilistica e non, che per forza di cose fa apparire Indiana Jones e l'Antico Cerchio più idoneo e fedele al canone imposto dalla prima trilogia di film della serie.

L'immancabile frusta, iconica tanto quanto il cappello fedora e il sorriso sornione di Harrison Ford
L'immancabile frusta, iconica tanto quanto il cappello fedora e il sorriso sornione di Harrison Ford

In questo senso, il fattore più evidente e appariscente, non può che essere il protagonista stesso, l'archeologo più famoso al mondo che, nella sua ricostruzione digitale, molto più che negli effetti speciali utilizzati ne Il Quadrante del Destino nelle scene in flashback, appare quanto mai aderente all'immagine più classica, più vigorosa, ovviamente più giovane. Il sorriso carico di ironia, gli occhi vagamente stralunati per esprimere sorpresa, ma anche confusione, quel dito che si agita con fare nervoso per dare corpo al processo deduttivo a cui il nostro è spesso chiamato, sono tutte caratteristiche espressive capaci di farci piombare nel caldo abbraccio della nostalgia, dell'accogliente e rassicurante noto.

La creatura di MachineGames riesce a non essere caricaturale proprio perché non abusa del suo protagonista, non lo piega in un vuoto citazionismo, non lo costringere a ripetere pedissequamente un copione che, per forza di cose, lo porterà a ripetere quella battuta, a ritrovarsi in quella stessa situazione, un po' come invece accade nei due film incriminati in uno sgraziato tentativo di scaldare il cuore degli appassionati. Si apre con una sequenza che riproduce perfettamente l'intro de I Predatori dell'Arca Perduta, è vero, ma nel farlo tratteggia perfettamente il manifesto dell'intera esperienza, un'avventura che nel riproporre i cardini stilistici della serie gli dona al tempo stesso una prospettiva completamente differente. E non si parla solo della prima persona, quanto di quella necessità di indagare e dedurre, a cui facevamo riferimento qualche riga fa, ma che questa volta è totalmente nelle mani del videogiocatore.

Se siete cresciuti a pane e film di Harrison Ford, Indiana Jones e l'Antico Cerchio vi ipnotizzerà al primo primo piano del protagonista
Se siete cresciuti a pane e film di Harrison Ford, Indiana Jones e l'Antico Cerchio vi ipnotizzerà al primo primo piano del protagonista

Allo stesso tempo, ogni battuta del Dottor Jones è perfettamente calata nel contesto, puntuale, priva di qualsivoglia fan service, che pur viene copiosamente distribuito come diretta conseguenza dello scorrere dell'avventura, non certo perché prevista da un copione che solo nel richiamo del passato regala un po' di brio al pubblico e all'azione. Il taccuino, per esempio, è sempre a portata di mano. Pronto per essere sfoderato come un inseparabile compagno di viaggio, come spalla imprescindibile per risolvere ogni enigma, esattamente come per sopravvivere ai tranelli nell'antico tempio di Alessandretta, meta finale dell'Ultima Crociata. La frusta è utile sia per arrampicarsi e ciondolare da una piattaforma all'altra, che per sbilanciare i nemici. La rivoltella, così come accade in una delle scene più iconiche del film appena citato, può essere estratta a tradimento per risolvere con un solo colpo ben piazzato una scazzottata potenzialmente mortale.

Le forzature del film, percepite così perché inserite in un contesto irrimediabilmente diverso, come i nazisti nell'ultima pellicola, nel videogioco sono parte integrante della trama, del gameplay, di una progressione che per merito di un level design strepitoso rende tangibile e esperibile in prima persona il lavoro di recupero e conseguente sfruttamento degli indizi utili a superare gli ostacoli e risolvere gli enigmi che separano il Dottor Jones dalla sua obiettivo finale.

Il taccuino non è una mera citazione alla serie, quanto un elemento di gameplay imprescindibile
Il taccuino non è una mera citazione alla serie, quanto un elemento di gameplay imprescindibile

Proprio a proposito del contesto, anche in termini di scrittura i ragazzi di MachineGames avrebbero di che insegnare agli sceneggiatori di Hollywood. I media sono diversi, la stessa progressione e durata dei prodotti tirati in ballo non si possono paragonare, su questo non c'è alcun dubbio, ma è inevitabile accorgersi di come il mistero che circondi l'Antico Cerchio, non faremo spoiler tranquilli, scorra e trovi una conclusione molto più affine allo spirito della serie, senza per questo coinvolgere con molta poca eleganza ed efficacia alieni e viaggi nel tempo. Il giro intorno al mondo di Indiana Jones è cadenzato da ritrovamenti, indizi, dialoghi che rendono l'avventura certo lineare, ma priva di improbabili colpi di scena o forzature che infrangono drasticamente la sospensione dell'incredulità.

Vale la pena spendere due parole anche sulla regia digitale. In fase di presentazione molti rimasero delusi nell'apprendere che il gioco avrebbe adottato una visuale in prima persona. L'idea di non potersi gustare il modello poligonale del Dottor Jones, se non nelle brevi fasi di arrampicata, raffreddò gli animi di molti. Si tratta invece di una soluzione perfettamente connaturata non solo al gameplay, ma anche ai fini artistici del racconto stesso. Complice un'interfaccia ridotta all'osso, che fa a meno persino degli indicatori su schermo relativi alla meta da raggiungere, che si palesano solo quando si consulta il taccuino, l'immersione in ogni scenario è totale, completa, assoluta. Laddove nei film tutto era filtrato dagli occhi dello stesso protagonista e dalla cinepresa, qui è tutto controllato dallo sguardo del videogiocatore che può decidere quanto e come soffermarsi su ogni dettaglio, a tutto vantaggio del senso di immersione, ma anche della pura contemplazione di ambienti densi di dettagli, ricchi di vegetazione, opere d'arte, monumenti, piccoli e grandi reperti.

Anche sul fascino di Emmerich Voss si potrebbero spendere diverse righe, ben più inquietante e affascinante degli ultimi villain con cui si è dovuto confrontare il Dottor Jones
Anche sul fascino di Emmerich Voss si potrebbero spendere diverse righe, ben più inquietante e affascinante degli ultimi villain con cui si è dovuto confrontare il Dottor Jones

Anche nelle scene di intermezzo, si vede benissimo come MachineGames abbia fatto i compiti a casa, studiando lo stile registico di Steven Spielberg. I primi piani, utili a sottolineare le emozioni dei personaggi e a dare un'interpretazione degli eventi attraverso la loro sensibilità, si sprecano. Nelle scene più dinamiche si prediligono i movimenti di macchina fluidi, con le linee di prospettiva a guidare lo sguardo dello spettatore e utili a infondere ulteriore vivacità all'inquadratura. Anche da questo punto di vista, insomma, il videogioco tende a battere le ultime uscite di Indiana Jones, soprattutto considerando Il Quadrante del Destino dove, fatto salvo per qualche scena particolarmente riuscita, il citazionismo e la riproposizione degli stilemi fissati da Spielberg hanno reso la messa in scena poco intrigante.

Videogioco maggiore di film?

Giungiamo così a trarre l'ormai ovvia e inevitabile conclusione di questa analisi, già accennata nell'introduzione dell'articolo. Indiana Jones non ha (forse) più senso di esistere sul grande schermo. Esattamente come alcune delle saghe citate, come per esempio Ghostbusters, sono inevitabilmente figlie dei loro tempi, trascinarle nella contemporaneità significa svilirle, mortificarle, privarle di qualcosa che all'epoca della loro ideazione funzionava alla grande, ma che oggi, nella migliore delle ipotesi, può solo apparire cringe.

Un gioco tutto in terza persona avrebbe potuto prendersi alcune libertà rispetto al canone della serie? La domanda estetica non può avere una risposta certa, ma tira in ballo il rapporto tra fedeltà e innovazione
Un gioco tutto in terza persona avrebbe potuto prendersi alcune libertà rispetto al canone della serie? La domanda estetica non può avere una risposta certa, ma tira in ballo il rapporto tra fedeltà e innovazione

Se l'ampiezza del mondo immaginifico di Star Wars consente alla serie Disney di adeguare il suo linguaggio stilistico e i temi trattati, pur non senza molta difficoltà e con innumerevoli scivoloni; se 007 cambiando puntualmente interprete non invecchia mai; Indiana Jones è innanzitutto Harrison Ford e i valori, vagamente patriarcali in certe situazioni, che incarnava. Il protagonista vecchio, stanco, disilluso, persino monogamo, de Il Quadrante del Destino, è un'evoluzione che non può certamente avere presa sul pubblico dei più giovani, ma che ha finito per indispettire anche i fan di lunga data, che nella sua riluttanza all'azione, a indossare di nuovo il Fedora, hanno rivissuto il dramma del Luke Skywalker che con una noncuranza innaturale getta alle spalle la spada laser che un tempo gli era appartenuta.

I recast sono possibili. Aggiornare i linguaggi è inevitabile. Adattare i temi alla rinnovata sensibilità del pubblico è una pratica assolutamente lodevole. Ma ha senso farlo, quando ciò si traduce in un cambio radicale, tale da svuotare una determinata opera della sua essenza? Indiana Jones e l'Antico Cerchio, che pur edulcora il personaggio di Indiana Jones in certi frangenti, è la dimostrazione empirica di come la serie non potrà far altro che fallire ancora e ancora se provasse a riproporsi sul grande schermo. L'atemporalità garantita dai videogiochi è imbattibile. Non solo si può rendere eterno l'aspetto estetico dei personaggi, ma è possibile riproporre la magia dell'opera originale, senza scadere nella copia, nel freddo duplicato.

La creatura di MachineGames è migliorabile sotto tanti aspetti. Anche per questo speriamo in un sequel
La creatura di MachineGames è migliorabile sotto tanti aspetti. Anche per questo speriamo in un sequel

L'utilizzo della prima persona rientra perfettamente in questo discorso. I videogiochi permettono di innovare, di giustificare il superamento di certe tematiche, persino di mettere in discussione determinati cardini estetici. L'interazione è il mezzo attraverso cui tutto ciò è consentito, interiorizzato ed accettato dal pubblico di riferimento. MachineGames, inoltre, ha dimostrato caparbietà proprio nel dichiarare già dall'introduzione del gioco quali fossero i suoi obiettivi: ricreare l'atmosfera di Indiana Jones, senza tentarne di tratteggiarne un'inelegante copia carbone.

Proprio per questo, laddove al cinema difficilmente vedremo un nuovo Dottor Jones, o quantomeno un Indiana Jones che possa davvero convincerci, Microsoft e Bethesda potrebbero aver appena salvato il marchio dall'oblio. E considerando quanto il gioco ci sia piaciuto e quanto stia piacendo, stiamo già incrociando le dita per un sequel che ci faccia dimenticare ancor di più il pessimo Quadrante del Destino.