Al di là dei gusti e delle preferenze personali, non si può fare a meno di ammettere che Koei Tecmo sia una vera e propria forza della natura. Solo nel 2025, considerando l'interezza del portfolio, ha pubblicato dieci videogiochi ad alto budget: c'è stato un nuovo capitolo di Dynasty Warriors, un nuovo Ninja Gaiden, hanno pubblicato da poco Hyrule Warriors, lo studio Gust ha portato avanti i suoi lavori su Atelier e adesso all'orizzonte si staglia la figura di Nioh 3, probabilmente uno dei progetti più importanti gestiti dal Team Ninja. Ora, guardando soprattutto all'industria dei videogiochi occidentale, si tratta di una lineup a dir poco impressionante, anche e soprattutto perché questi prodotti sono stati tutti accolti in maniera positiva, saziando la fame delle rispettive nicchie di pubblico. Ma com'è possibile, in un periodo storico come questo, poter contare su una simile potenza di fuoco?
"Il fatto è che i giapponesi lavorano davvero molto duramente... Ahah, sto scherzando!". Ci ha risposto così Fumihiko Yasuda, General Producer di Nioh 3 nonché figura chiave nella supervisione di molte delle ultime opere del Team Ninja. "Sapete, in realtà penso che nei casi recenti i tempi di sviluppo sono stati diversi, i progetti sono partiti in momenti diversi, ed è capitato per caso che uscissero tutti più o meno nello stesso periodo. Nioh 3 lo stiamo sviluppando noi, Ninja Gaiden 4 l'ha fatto Platinum Games e noi l'abbiamo solamente supervisionato, Hyrule Warriors è sviluppato da un altro nostro studio di livello AAA, mentre all'inizio dell'anno c'è stato Dynasty Warriors di Omega Force. Abbiamo molti team diversi che stanno lavorando a titoli diversi, e questa ovviamente è la motivazione principale. Però bisogna considerare che internamente per tutti questi giochi abbiamo usato il nostro motore proprietario: questa cosa ci conferisce la capacità di accumulare conoscenza, di condividere il know-how fra tutti i brand e gli studi diversi, ampliando molto il potenziale di quel che possiamo fare. Credo che questo ci abbia davvero aiutato a rendere il nostro processo di creazione dei giochi molto più efficiente".
Al momento nel futuro del Team Ninja c'è solamente Nioh 3, terzo capitolo della trilogia avviata nel 2017 che ha di fatto segnato l'interezza del corso moderno di Koei Tecmo, tracciando le regole di un nuovo "genere" d'azione che si è riflesso in molte delle produzioni contemporanee. Nioh 3 è un videogioco particolare, perché sembra racchiudere nei suoi confini tutte le recenti ispirazioni dello studio, traendo lezioni da esperimenti come Rise of the Ronin e Wo Long: Fallen Dynasty per produrre un'opera davvero completa. Ed è proprio per questa ragione che abbiamo intervistato Fumihiko Yasuda e il producer Kohei Shibata; per farci raccontare tutti i retroscena alle spalle di uno dei progetti più importanti della compagnia.
Che cos'è Nioh 3 e quali sono i suoi obiettivi
"Se avete percepito che Nioh 3 è una sintesi degli esperimenti compiuti nei giochi recenti, vi ringrazio del complimento, siamo felici che questo si sia percepito", afferma Yasuda. "Tra Nioh 1 e Nioh 2 sono trascorsi circa due o tre anni, mentre tra Nioh 2 e Nioh 3 ne sono trascorsi almeno sei, portando a un processo di sviluppo sensibilmente più lungo. Durante quel periodo, molti membri del team hanno potuto fare tantissima esperienza lavorativa sugli altri videogiochi Koei Tecmo. E questo era proprio ciò a cui miravo per questa produzione: volevamo che i membri del team potessero acquisire tanta esperienza lavorando su altri giochi per poi riportarla a casa per la creazione di Nioh 3. Spero che sia qualcosa che anche gli altri giocatori riusciranno a percepire, fa molto piacere che ve ne siate resi conto".
In effetti Nioh 3 si presenta proprio come una sintesi di tutte le lezioni apprese nel corso degli ultimi anni, nel bene e nel male: se, da una parte, s'incontra l'apprezzata meccanica di deviazione introdotta da Wo Long: Fallen Dynasty, dall'altra la struttura non adotta più l'interpretazione completamente open-world come quella di Rise of the Ronin. "Sapete, fra Nioh 1 e 2 ci siamo concentrati sull'evoluzione del gameplay action", continua Yasuda. "Ovviamente abbiamo fatto lo stesso anche con Nioh 3, lavorando sugli Yokai e introducendo il sistema di combattimento da Ninja, ma in questo caso volevamo accettare la sfida di evolvere qualcosa che non avesse a che fare solamente con l'azione. Questa è la ragione per cui abbiamo creato la struttura open-field di Nioh 3".
Il terzo capitolo della serie adotta per l'appunto la struttura open-field: non è un open-world in senso stretto, ma una serie di mappe aperte e interconnesse che si possono esplorare liberamente, con l'obiettivo che non diventino dispersive. "Sapete, fino a Nioh 2 i nostri giochi in un certo senso erano molto focalizzati sulle missioni, erano molto densi, molto difficili, ma quando riuscivi a superare un ostacolo c'era una grande sensazione di esaltazione. E quella ovviamente c'è ancora. Ma con questo capitolo volevamo anche aumentare molto la libertà nell'esplorazione, migliorare l'esplorazione stessa e incrementare le cose che si possono fare al di là dell'azione pura. Se dovessi definire Nioh 3 lo descriverei come un gioco d'azione Sengoku molto difficile, ma con un altissimo grado di libertà. Questo era il genere d'evoluzione che avevamo in mente per la serie".
Viene da chiedersi, a questo punto, quanto esperimenti come Rise of the Ronin abbiano giocato un ruolo in tale scelta, perché l'esclusiva console PlayStation ha ricevuto le principali critiche proprio in relazione al mondo aperto, fra l'altro un genere di struttura che ultimamente sta facendo molta fatica a produrre esperienze convincenti. Questa volta a prendere la parola è Shibata: "Sin dall'inizio dello sviluppo di Nioh 3 nel 2019 volevamo che fosse in un ambiente aperto. Rise of the Ronin si fondava molto sull'esplorazione di un Giappone realistico, nel suo caso la struttura open-world ci stava davvero bene. Nioh, però, non si basa su quel genere di mondo: non è tradizionale, storico, realistico. C'è un'atmosfera infernale, c'è l'influenza del Crucible, è una visione del mondo molto più brutale".
"Pensiamo alla struttura di Nioh: è un gioco basato sul combattimento, l'attenzione si concentra sull'azione e sulle battaglie. Poi ci sono altri elementi: si possono imboccare percorsi diversi per attraversare i livelli, e si può inserire molta libertà in un'esplorazione più semplice per renderla scorrevole. Abbiamo pensato che una struttura open-field, anziché completamente open-world, avrebbe aiutato molto le sensazioni che volevamo trasmettere. So che definire un open-field rispetto a un open-world suona complicato. Diciamo che le mappe aperte sono molto più adatte a una serie come Nioh, sono perfette per costruire e creare un gameplay denso, davvero denso di attività, rispetto all'open-world classico".
Quando ci siamo trovati per le mani Nioh 3 per la prima volta, ci ha sfiorato l'idea che il Team Ninja volesse seguire un cammino simile a quello che FromSoftware ha scelto con Elden Ring, che attraverso la struttura aperta è stato in grado di rivolgersi a un pubblico molto più ampio del solito; Shibata ci ha svelato che qualche influenza c'è stata, ma le loro idee erano chiare sin dal principio. "Molti di noi, me compreso, apprezzano i giochi Souls e molti nel team hanno giocato a Elden Ring. Sicuramente potrebbe aver avuto qualche influenza, ma non è stata la ragione principale: è un po' difficile dire da dove venga l'ispirazione e quale sia la logica, ma credo sia nata nel momento in cui abbiamo iniziato a progettare la mappa. Volevamo assicurarci che fosse aperta, ma non così aperta da offrire troppe opzioni, da far perdere i giocatori. Abbiamo dovuto capire quale fosse il giusto livello di libertà nell'esplorazione, in modo tale che non fosse né eccessivo né carente. L'azione doveva rimanere il cuore del gioco, così come la tensione, anche incrementando l'esplorazione: questo equilibrio ci ha portato all'open-field".
Le novità della formula
Le novità di Nioh 3 non hanno toccato solamente la struttura dell'ambientazione, ma anche le meccaniche del gameplay: quella più importante è senza dubbio l'introduzione della forma Ninja, che affianca alla classica variante Samurai un sistema di combattimento molto vicino all'ispirazione di Ninja Gaiden. Ma come si fa a integrare due stili tanto diversi nella stessa esperienza? A spiegarcelo è stato Shibata. "Non è stato facile riuscire a bilanciare le cose. Volevamo fare qualcosa per evolvere gli elementi action rispetto ai capitoli precedenti, in particolare introducendo una nuova sensazione di gameplay. Riflettendo sui probabili elementi per diversificare il gameplay rispetto a quello del Samurai, l'idea più naturale è stata quella di introdurre il Ninja. Quello è stato il nostro punto di partenza".
"Ma quando abbiamo deciso di implementarlo e abbiamo iniziato a testarlo, il Ninja si è rivelato troppo forte". Dal canto nostro, possiamo confermare che uno stile rapido e mobile come il Ninja inizialmente risulta quasi alieno nella struttura di Nioh, ma al tempo stesso è una boccata d'aria fresca perfetta per accogliere un nuovo tipo di pubblico. Shibata continua: "Per bilanciare il tutto, abbiamo potenziato lo stile Samurai. E allora lo stile Samurai è diventato troppo forte, avviando questo continuo tira e molla nel tentativo di produrre un'esperienza bilanciata. È stato piuttosto difficile in fase di sviluppo, ma abbiamo trovato la quadra: con il Samurai gli attacchi individuali sono molto più forti, mentre il Ninja ha diversi modi per attaccare. Una volta fissati i maggiori punti di forza degli stili, siamo riusciti a raggiungere il bilanciamento, semplicemente capendo quali fossero i punti chiave di ciascuno di essi".
Qui, ovviamente, entra in gioco la questione della difficoltà: quella di Nioh non è solamente una serie di videogiochi complessi, ma anche piuttosto tecnici, nel senso che richiedono un approccio particolare all'apprendimento e vivono di regole ferree. "Nella serie Nioh i nemici sono sempre stati forti, continueranno assolutamente a esserlo, ma la presenza dei due stili di gioco offre ai giocatori la possibilità di trovare il gameplay action che sia più adatto a loro. L'esperienza che abbiamo maturato come Team Ninja con la serie Nioh e con i giochi d'azione in generale ci ha permesso di implementare nel gioco queste nuove variabili in maniera bilanciata". Questa, per certi versi, è la filosofia che è stata applicata all'interezza della produzione, dalla scelta della struttura fino per l'appunto alle dinamiche di combattimento.
Il che è stato ulteriormente rimarcato da Yasuda, specialmente quando gli abbiamo confessato che Takeda Shingen, il boss che era disponibile nella demo presente al Tokyo Game Show, ci aveva letteralmente fatto a pezzi. "Là fuori ci sono giocatori che hanno probabilmente investito migliaia di ore nella serie Nioh, ma ce ne sono molti altri che magari l'affronteranno per la prima volta, e vorrei che tutti potessero godersi il gioco. Per i nuovi giocatori abbiamo incorporato un tutorial molto solido, che tuttavia non è assolutamente eccessivo. Ma la cosa più importante è stata quella di assicurarsi che il gioco non avesse picchi di difficoltà troppo improvvisi, tutto deve avvenire in modo graduale. Nell'esplorazione c'è molta più libertà, ma ci sono anche avversari molto difficili da sconfiggere sul campo di battaglia: la cosa su cui ci siamo concentrati è stata offrire ai giocatori molti più elementi per sconfiggere i boss, che si tratti dell'equipaggiamento o dell'esplorazione stessa. Ma ci tengo a precisare che la difficoltà tipica dei nostri giochi non è stata ridotta".
"Ho sempre pensato che il punto chiave - e che è davvero importante per questo gioco - è il modo in cui si affronta la sconfitta. Magari in una demo come quella del Tokyo Game Show si perde, e può essere frustrante. Ma ciò che conta è quel che il giocatore pensa subito dopo. 'Cosa devo ottenere? Come devo prepararmi per farcela?'. Noi abbiamo scelto di offrire molte opzioni perché i giocatori trovassero la propria strada per farcela, per sconfiggere quei boss potenti. Alla fine essere in grado di farcela, la sensazione di esaltazione che ne deriva, scoprire che si poteva battere il boss è molto importante, ed è qualcosa che era essenziale mantenere anche in questo capitolo".