C'è un momento in Journey to the Savage Planet, nel quale vai oltre l'estetica colorata e spensierata e capisci che, sotto sotto, quel videogioco sta cercando di dirti qualcosa. Capita la prima volta in cui devi prendere una di quelle creaturine paffute e morbidose che il team ha scolpito con tanta cura da un blocco di tenerezza e darla in pasto a un'enorme pianta carnivora. Perché? Perché devi risolvere un puzzle e devi avanzare nella tua colonizzazione del pianeta. In quel momento, se il cervello fa click, Journey to the Savage Planet diventa, oltre a un divertente metroidvania, anche un modo intelligente e coraggioso di fare satira sul colonialismo e sul modo idiota in cui noi esseri umani diamo per scontato che il regno della natura - ovunque esso sia - ci appartenga.
Avendo apprezzato particolarmente questo suo carattere irriverente, abbiamo avvicinato Revenge of the Savage Planet, il sequel, con curiosità. Sapevamo che questo secondo capitolo non si sarebbe limitato a mettere in campo delle novità, ma avrebbe cambiato sensibilmente alcune caratteristiche, pur restando ancorato a un certo tipo di umorismo che unisce i due videogiochi come un filo rosso.
Per l'occasione siamo stati ospitati all'interno di una piccola e coloratissima roulotte, molto anni '70, nel parcheggio di un ristorante messicano chiamato El Cholo, a Downtown LA. Un posto talmente fuori di testa che sembrava una sorta di sito di atterraggio astronavi, con una cassa Bluetooth che sparava a tutto volume una stramba musica ipnotizzante mentre ci avvicinavamo, quasi risucchiati da un raggio traente. Un piccolo mondo alternativo nel bel mezzo di una delle metropoli più caotiche del pianeta Terra.
Ritorno sul pianeta selvaggio
La nostra prova si è focalizzata su due momenti di gioco ben distinti. Il primo era il classico tutorial che, avendo già giocato Journey to the Savage Planet a suo tempo, è stato un ottimo ripasso per alcune delle meccaniche, ma soprattutto un'interessante maniera di venire a patti con la nuova missione del nostro protagonista. Non c'è più la Kindred Aerospace, la quarta compagnia di colonizzazione spaziale più famosa al mondo; questa volta lavoriamo per i pezzi da novanta: siamo dipendenti della Alta Interglobal, l'azienda più grossa sul pianeta Terra che si occupa dell'ingrato compito di trovare nuovi pianeti che l'umanità possa abitare. E distruggere, chiaramente.
Il nostro astronauta arriva quindi sul pianeta che gli è stato assegnato. Il suo è un viaggio di sola andata e la navicella va in frantumi appena tocca terra, lasciandolo in balia di un ambiente parecchio stravagante. Non ostile, a dirla tutta, anzi: florido, verde, pieno di creature paffute che non intendono far male a nessuno. In particolare, la prima forma di vita che incontriamo, è un funghetto molto simpatico, così timido che, per l'imbarazzo, si gonfia come un palloncino quando gli passiamo accanto. Ce ne sono a decine che ci zompettano attorno. Ci fanno tenerezza, ma sappiamo che di lì a poco inizierà la mattanza e dovremo probabilmente massacrarli per qualche sadico motivo.
Ed è così, infatti. Un piccolo computer fluttuante, che sarà il nostro aiutante tuttofare nonché la guida del nostro pellegrinaggio, ci fa sapere che per proseguire nell'esplorazione dobbiamo costruire un jetpack, e che il componente principale per crearlo è il carbonio. Che possiamo estrarre prendendo a calci i funghetti. È così che vanno le cose lungo tutto il tutorial: devastiamo flora e fauna mentre ci vengono mostrate alcune delle caratteristiche che già conosciamo dal prequel, e che qui tornano in una nuova veste dal momento che il videogioco ha cambiato prospettiva, passando dalla prima alla terza persona.
Un cambiamento che trasforma completamente le fasi a piattaforme (che ora risultano molto più precise) e permette agli autori di Raccoon Logic di giocare con uno humor più fisico, vicino ai canoni della commedia slapstick. Il nostro protagonista si muove in modo goffo, scivola, corre e salta mulinando le braccia in un'esagerazione dei movimenti che appare subito caricaturale, donandogli una personalità molto più marcata che in passato. E d'altronde personalità e personalizzazione sono due delle parole chiave di Revenge of the Savage Planet.
Quella casa nel bosco
La seconda sessione che abbiamo potuto provare, infatti, prendeva in esame una delle nuove caratteristiche del videogioco: la costruzione dell'avamposto. La nostra base sul pianeta che stiamo colonizzando crescerà con l'espandersi degli equipaggiamenti in nostro possesso e con i progressi di gioco, permettendoci di arredare l'interno con mobili di vario tipo, dalle librerie ai letti, ma anche con moltissimi strumenti utili come teletrasporti e stampanti 3D. Per quello che abbiamo avuto modo di vedere, la scelta dell'arredamento è davvero ampia e permette di personalizzare gli spazi e anche il nostro protagonista. Comprando e posizionando un armadio, infatti, possono essere sbloccate delle tute aggiuntive che si possono mixare per trovare lo stile dei nostri sogni. Molte di queste sono una versione libera da copyright di alcune delle tute sci-fi più famose provenienti da cinema, videogiochi e serie TV. Steven Masters, il game design director del gioco, ci ha assicurato che ci saranno equipaggiamenti ispirati anche a Star Trek e 2001: Odissea nello Spazio.
Uscendo dalla base, si accede a tutta una serie di strutture che hanno a che fare con altri aspetti del gioco. Per esempio è possibile visitare una sorta di zoo dove teniamo le creature che abbiamo catturato grazie a uno speciale lazo magico. Perché, chiaramente, vuoi non aggiungere il bracconaggio alla lista delle nostre scorribande spaziali? Quest'area ricrea, in piccolo, l'intera fauna e flora locali. I mostriciattoli possono essere accuditi e, studiandoli, saremo in grado di sbloccare palette di colori speciali per i nostri completi spaziali.
In questa sezione avanzata abbiamo inoltre avuto modo di provare alcuni dei nuovi gadget. Un'altra novità in questo capitolo è che la nostra pistola al plasma ora può sparare proiettili di diversi elementi che interagiscono in maniera completamente differente con l'ambiente. Possiamo equipaggiare cartucce ad acqua che trasformano il gioco in una sorta di Powerwash Simulator (anche Steven ha annuito quando gli abbiamo fatto notare la somiglianza), e pulire i vari fluidi che imbrattano il pianeta, ma anche riuscire a superare zone che altrimenti sarebbero inaccessibili perché invase da lava o da altri elementi corrosivi per il nostro povero personaggio. Oppure possiamo caricare i proiettili di fuoco, così devastanti da far saltare in aria ogni nemico che ci capiti a tiro. In alcuni casi possiamo dar vita a reazioni esplosive devastanti. In una sezione ancora diversa, nella quale abbiamo esplorato il secondo pianeta disponibile (dei quattro che saranno nella versione finale), un ulteriore power up della pistola permetteva di imbrattare pavimenti e soffitti con una melma viola, capace di condurre energia elettrica. Questa sua caratteristica andava sfruttata per dare energia a un portale altrimenti chiuso. Un puzzle molto creativo che ci è piaciuto particolarmente.
Un'altra grande conferma è che Revenge of the Savage Planet può essere affrontato totalmente in co-op, anche se non abbiamo avuto modo di testare questa modalità, crediamo sia importante segnalarlo per via della natura maggiormente votata alla sperimentazione rispetto al prequel. I fluidi sparati dalle armi possono interagire tra loro, creando combinazioni devastanti, e sembrano influenzare in maniera più netta che in passato il comportamento dei nemici. Durante la nostra prova ci è capitato di affrontare creature che andavano prima "pulite" con l'acqua e quindi attaccate con i proiettili classici; una dinamica che, con due giocatori che esplorano il livello, può essere sfruttata per assegnare dei ruoli molto chiari a ogni esploratore. E poi, bisogna dirlo, per via del suo humor basato sulla commedia slapstick, siamo sicuri che Revenge of the Savage Planet possa dar vita a siparietti esilaranti.
Con la sua spietata ed esilarante satira sul colonialismo e i suoi sistemi incredibilmente divertenti, Revenge of the Savage Planet sembra una versione migliorata e corretta del prequel che abbiamo adorato al tempo. La grande capacità di regalare "un momento di gioia", come ci ha detto Steven Masters, il game design director, si fonde con una puntuale capacità di punzecchiare il giocatore continuamente attraverso piccoli gesti meschini che lo divertono e che sfidano la sua etica. È quell'umorismo di razza che si spinge fino al punto da divenire sgradevole in alcuni frangenti, eppure sempre in grado di strapparti una risata.
CERTEZZE
- È rimasto divertente com'era il prequel
- Tante novità che permettono di personalizzare l'esperienza
- Il suo humor sottile e la satira sul colonialismo sono molto azzeccati
DUBBI
- Tecnicamente ci è sembrato ancora un po' indietro
- Speriamo non torni quella linearità che caratterizzava il primo gioco