Spazio, ultima frontiera. Le parole del capitano Kirk sembrano racchiudere in loro l'intera essenza di Starfield. L'epopea spaziale di Bethesda Softworks ci ha fatto sognare le stelle ancora una volta, ma in maniera leggermente diversa dal solito. Perché quello di Starfield non è un futuro "lontano lontano", né tantomeno la preistoria dell'esplorazione spaziale. Siamo a un crocevia, dove molto è stato scoperto, ma poco è stato "domato" dalla mano dell'uomo. E questo, il gioco, ce lo comunica in continuazione, grazie a una direzione artistica capace di veicolare un messaggio ben preciso: noi non siamo gli esploratori di nuovi mondi, moderni Magellano, Vespucci, Colombo, pronti a imbarcarsi in un'avventura ai confini della conoscenza umana. No, noi siamo i cercatori d'oro che viaggiano in carovane alla conquista del selvaggio west.
Vediamo insieme, quindi, in che modo l'estetica di Starfield riesce a trasformare il mondo di gioco nel primo universo "western" di Bethesda.
Nuove frontiere, vecchi echi
Bethesda non è nuova all'implementazione di luoghi comuni e stereotipi visivi che si avvicinano allo stile western. La serie di Fallout (con particolare riferimento a Fallout: New Vegas) presenta una forte impronta da "vecchio West", principalmente per l'atmosfera retro-futuristica che si respira in ogni angolo del mondo post-atomico dalle tinte anni '50. Quelli con cui gioca la casa di sviluppo con tale serie sono i pilastri culturali della metà del secolo scorso: androidi ed energia nucleare convivono con cowboy e antichi romani.
Però tra il "domani" dei Fallout e quello di Starfield c'è una differenza molto importante: da un lato abbiamo un congelamento temporale che ha poi portato a una diramazione regressiva del progresso tecnologico; dall'altro un'effettiva evoluzione dettata dal naturale passaggio del tempo.
In Starfield non si ha a che fare con una grande devastazione che ha portato al ritorno di un determinato stile di vita, ma con un mondo che è andato avanti, puntando alle stelle. Il progresso imita il passato, non è il passato a subentrare al progresso.
Le note western che troviamo nei Fallout sono una risposta al vuoto sociale che si è venuto a creare dopo l'olocausto nucleare, una eco del passato che riverbera in un presente dove tutto sembra essersi fermato. E l'uomo, in questo caso, prima di poter progredire, deve sopravvivere e dimostrare di essere ancora in cima alla catena alimentare di un pianeta che è mutato completamente.
Le premesse alla base di Starfield sono diverse. La Terra sarà pure stata sull'orlo del baratro, ma la scelta di esplorare nuove galassie non è dipesa unicamente dalla necessità di trovare una nuova casa, ma dal bisogno fisiologico di scoperta. Gli astronauti che hanno lasciato il loro pianeta natale e che nel tempo presente del gioco continuano ad avventurarsi tra i Sistemi Colonizzati sono spinti verso tali imprese proprio dalla voglia di vedere cosa si cela oltre. Perché "scoperta" significa anche "possesso", e dal "possesso" al "guadagno" è un attimo. La corsa allo spazio è la nuova "febbre dell'oro". Cercatori di fortuna da ogni parte del mondo si sono lanciati nello spazio alla ricerca di ricchezza e libertà. Un vecchio west senza punti cardinali. È, più semplicemente, la nuova frontiera.
Fantascienza in costruzione
Visivamente, il tema della "nuova frontiera" viene esplicitato in continuazione. Basta fare un giro sulla propria astronave o in uno degli insediamenti principali del gioco per capire che l'aria che si respira non è quella di un futuro all'avanguardia, che ci è difficile perfino immaginare. Tutto il contrario.
In qualsiasi direzione si guardi, non è raro scorgere grossi contenitori sgraziati, pallet, muletti, cavi. Anche nei luoghi tecnicamente più avanzati si avverte un sentore "industriale", fatto di tubi, nubi di fumo e nudo metallo (qualcosa tra Balde Runner e le regioni più esterne di uno Star Wars). L'impressione che si ha è che i lavori per il radioso futuro spaziale non siano ancora conclusi e che noi siamo capitati a cantieri in corso.
Nuova Atlantide, Neon, ma anche il mega-resort Paradiso, sono tutti figli del nostro tempo. Pare la Terra presa e trasportata su un nuovo pianeta incontaminato. Ma oltre a questi centri urbani dalla struttura tangibile e familiare, la vera "illuminazione" la si ha esplorando i pianeti meno importanti. Quasi tutti presentano strutture umane di qualche tipo (anche nello spazio tutto è stato, più o meno, scoperto). E sono proprio queste a richiamare il mito della frontiera.
Come accaduto attraverso le miniere e i pozzi petroliferi sul terreno arido della California, l'uomo ha iniziato a sfruttare senza ritegno queste nuove cave planetarie, lasciando il suo flebile ma profondo segno attraverso insediamenti che spesso non si spingono più in là di un piccolo edificio.
In Starfield siamo arrivati in ritardo alla corsa alla colonizzazione delle nuove "terre", ma c'è ancora molto da scoprire. Quella del gioco è una frontiera viva, abitata da tempo, ma comunque primordiale, di difficile amministrazione, nonostante gli sforzi di enti come l'Unione Coloniale o il Collettivo Freestar. Si percepisce la precarietà della situazione umana dalle strutture che essa ha edificato.
Akila City è praticamente un forte spagnolo, che richiama quelli che si possono trovare per tutto il territorio californiano e che hanno dato rifugio a molti intrepidi cercatori di fortuna. Sui pianeti colonizzati, l'essere umano è quasi sempre uno degli ultimi anelli della catena alimentare; deve sapersi difendere e imparare a sopravvivere in un territorio non ancora domato.
Esploratori e fuorilegge
Oltre ai luoghi di fortuna che sembrano tenuti insieme da corda e nastro adesivo, l'universo di Starfield è composto anche da personaggi che paiono usciti fuori dai leggendari racconti d'avventura della seconda metà del millennio scorso. La Flotta Cremisi e gli Spazianti sono fuorilegge da romanzo d'appendice, che evocano le gesta dei pirati e dei banditi; i combattimenti spaziali: assalti alla diligenza e abbordaggi da Jolly Roger. Poi sceriffi, grandi corporazioni e magnati dell'industria, umili lavoratori e lupi solitari: tutti elementi del mito della frontiera, dove le regole del mondo civilizzato non hanno ancora attecchito completamente e l'aria di opportunità è palpabile in ogni momento.
E noi chi siamo se non i nuovi arrivati da Est, appena scesi dal treno che ci ha condotto all'ultimo stadio del selvaggio? Sta a noi decidere chi vogliamo essere, perché non esistono strade battute ai confini del mondo.