Nel bene e nel male, Starfield è stato il gioco del 2023. Non il migliore, sia chiaro, ma quello che più ha fatto parlare di sé, creando dibattito e polarizzando gli animi. Ha stupito e deluso allo stesso tempo, pieno com'è di virtù e di problemi. Accompagnato da un'imponente campagna marketing, è arrivato sul mercato raccontato praticamente in ogni suo aspetto. Nonostante ciò, in alcuni casi è stato enormemente frainteso. È stato anche al centro di quel buco nero della ragione che è la console war, con molti giudizi del pubblico che sono stati esasperati, in positivo e in negativo, dalla sua natura di esclusiva Xbox. Vale quindi la pena di parlarne ancora, considerando che, nonostante i mesi passati dal lancio, l'ultima fatica di Bethesda continua a tenere banco nel discorso pubblico, con posizioni esasperate che, a loro modo, ne danno una visione molto parziale. Facciamo allora un veloce resoconto di ciò che è stato ed è ancora Starfield, cercando di capire perché ha segnato l'anno che volge al termine.
Tanta libertà
Starfield ci ha raccontato una storia ben diversa da quella che ci aspettavamo. È un gioco dall'ambizione smisurata, vero, ma che finisce in qualche modo schiacciato sotto al suo peso. Allo stesso tempo è un'esperienza che ci dice molto sulla strada percorsa fino a oggi da Todd Howard e soci, con ogni nuova produzione che cerca di rafforzare la visione del gioco di ruolo elettronico fondata con The Elder Scrolls: Arena e rifinita fino al parossismo con i titoli successivi, che da una parte è tra le più affascinanti che si possano trovare sul mercato dei tripla A, dall'altra porta a una perdita di fuoco che finisce per alienare molte persone. In Starfield tutto è un pretesto per dire al giocatore di provare a essere ciò che vuole. Hai voglia di costruire la tua astronave? Fallo. Vuoi costruire una base su Europa? Puoi. Vuoi contrabbandare merci illegali tra le città maggiori della parte colonizzata della galassia? Vai. Ti servono delle risorse? Scendi su uno dei mille pianeti esplorabili e cercale. Vuoi diventare un lupo solitario che viaggia per lo spazio in cerca di avventure? Sicuro, perché no? Ti piace l'idea di fare il poliziotto del cosmo? Mettiti la divisa. Il fulcro del gameplay sembra essere proprio questo dare al giocatore una moltitudine di possibilità di vivere avventure nello spazio, lasciandogli in ogni momento la scelta di dove andare, quale missione affrontare, quali obiettivi personali perseguire e quant'altro. Da questo punto di vista Starfield funziona e anche molto bene, perché effettivamente tutti i sistemi di gioco sembrano essere piegati verso questo scopo.
Troppa libertà
Indubbiamente si può rimanere rapiti da quello che è la summa dell'Howard pensiero, nonché il punto di arrivo di una formula che a suo modo ha fatto scuola. Il problema di tutta questa libertà è però la libertà stessa, che frustra il lato narrativo. È come se a un certo punto diventasse un limite, perché rende tutto senza peso, lì dove l'unico punto di arrivo dell'esperienza sembra essere solo l'accumulo: di risorse, di abilità, di equipaggiamento. Quando si supera un certo confine, Starfield diventa smisurato come un condominio e tutto ciò che si fa appare completamente fine a se stesso. Se si accetta questa sua natura sandbox, per cui la libertà del giocatore si esercita soprattutto sulle scelte meccaniche, allora lo si può amare alla follia e ci si può godere un titolo in cui si viaggia nello spazio con un'astronave personalizzata, si visitano basi poste a migliaia di anni luce di distanza e si saltella da una storia all'altra impugnando armi sempre più rare e potenti. L'unica condizione per continuare a viverlo senza recriminazioni, godendoselo fino in fondo, è quella di non chiedergli mai di imporre una qualche forma di coerenza narrativa all'esperienza, perché in quel momento il flow inizia ad andare in pezzi.
Starfield è il più grande gioco di Bethesda in ogni possibile aspetto, anche nel modo in cui ingigantisce certi difetti tipici delle sue produzioni. Ad esempio la voglia di Howard di consentire al giocatore di provare un po' di tutto permette di tenere dei comportamenti antitetici all'interno della stessa partita, senza alcuna conseguenza. A uscirne deteriorata è proprio l'idea di gioco di ruolo totale che Starfield vorrebbe trasmettere, perché finisce per non esserci alcun ruolo. Come avveniva già negli Elder Scrolls prima e nei Fallout poi, il principio seguito è quello di lasciare al giocatore la scelta di cosa fare, anche finendo per distruggere ogni forma di coerenza interna. Immaginate ora la campagna di un gioco di ruolo da tavolo in cui il narratore vi permettesse in una missione di eliminare parte di una banda di criminali e nella successiva di unirvi a loro come se nulla fosse e come se non vi conoscessero. La considerereste libertà, o una scelta straniante capace di distruggere completamente l'immersione? La libertà impone delle responsabilità, la scelta del ruolo impone l'interpretazione dello stesso fino alle sue più estreme conseguenze, a discapito delle voglie del momento. Quando la libertà è assoluta diventa un vizio, quindi una catena, perché si afferma come unico fine.
Un gioco utopico
Ecco, la visione di gioco di ruolo totale propugnata da Bethesda fa esattamente questo: in alcuni casi distrugge il coinvolgimento, rinunciando a imporre al giocatore le conseguenze delle sue scelte, che non si irradiano mai sull'intero mondo di gioco ma rimangono parcellizzate. In altri casi però funziona davvero bene e non fa rimpiangere le ore spese a giocare, in particolare lì dove riesce a esprimere una forte malleabilità di approccio alle situazioni. In questo senso vorremmo spezzare una lancia a favore della tanto criticata gestione dell'esplorazione: quando Bethesda ha annunciato che ci sarebbero stati circa mille pianeti sui quali atterrare, doveva essere subito chiaro che per costruirli avrebbe usato delle tecniche procedurali e che esplorarli non sarebbe stato come visitare un dungeon di Morrowind. Per la maggior parte i pianeti sono dei depositi di materiali con qualche punto di interesse sparso e lì esauriscono la loro funzione. I luoghi visitabili si ripetono? Inevitabile. È per questo che Starfield distingue in modo nettissimo quelli generici da quelli fissi, offrendo comunque la possibilità di godersi solo i secondi senza troppe recriminazioni, visto quanti ce ne sono. Pensare che avrebbero progettato a mano mille pianeti era semplicemente utopico.
Come del resto era utopico sperare che non ci sarebbero stati dei caricamenti, considerando la mole di dati che viene processata a ogni cambio di ambiente. Per alcuni sollevarsi da un pianeta, viaggiare nello spazio e atterrare su di un altro pianeta completamente differente, posto in un altro sistema stellare, è un affare banale che avrebbe dovuto essere gestito in tempo reale.
Peccato che attualmente non esista un singolo videogioco che riesca a farlo mantenendo lo stesso livello di complessità grafica e gestendo la stessa quantità di sistemi differenti. Chi ci sta provando, vedere Star Citizen, sta avendo enormi problemi di ottimizzazione, oltre che uno sviluppo lento e travagliatissimo di cui non si intravede la fine. C'è da dire che in molti casi Starfield appare eccessivo nella sua frammentazione. Il problema però non sono gli inevitabili caricamenti, quanto il design di alcune missioni, che porta il giocatore a doversi spostare da una parte all'altra della galassia per svolgere dei compiti molto rapidi, che fanno apparire il ritmo di gioco fin troppo frenetico per un'epopea spaziale. Così capita di dover andare su di un sistema, prendere un oggetto, quindi ripartire per andare a fare qualcos'altro, il tutto nel giro di pochi minuti. Quando invece ci si trova di fronte a missioni più lunghe e strutturate, in cui si passa più tempo nei luoghi che si visitano, l'appesantimento dei caricamenti, comunque molto veloci, si riduce enormemente. Forse si potevano evitare tutte quelle missioni da fattorino che non danno niente in termini di esperienza, ma che contribuiscono a foraggiare certi giudizi di massima affibbiati al gioco. Va detto che anche offrire una galassia vuota di cose da fare non sarebbe stato preso bene da molti videogiocatori.
Conclusioni
Di Starfield si potrebbe parlare per ore. È un gioco pieno di luci e di ombre, tanto che può stupire e lasciare interdetti allo stesso tempo. È una di quelle esperienze capaci di cambiare radicalmente a seconda di come la si affronta e di come la si racconta. Probabilmente è la formula stessa dei giochi di Bethesda ad avere problemi con un progetto di dimensioni simili, lì dove aveva iniziato a mostrare alcune crepe già con Fallout 4 e con The Elder Scrolls V: Skyrim stesso. La speranza è che sia d'insegnamento per il nuovo Fallout e per The Elder Scrolls VI, portando Bethesda a correggere il tiro su alcune scelte di design che si sono rivelate problematiche, mantenendo al contempo il molto di buono che è riuscita a fare.