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Valorant, tutto sullo sviluppo dello sparatutto di Riot Games

Negli studi di Riot Games non siamo solo riusciti a provare Valorant, ma abbiamo parlato a lungo con gli sviluppatori, scoprendo tutto sul suo sviluppo. Ecco come è stato creato uno degli shooter più promettenti dell'anno.

SPECIALE di Aligi Comandini   —   03/03/2020

Negli anni abbiamo visto molti studi di sviluppo, da piccoli uffici popolati da una manciata di programmatori, a imponenti edifici su più piani pensati per ospitare armate di professionisti pronti a lavorare sul prossimo tripla A; poche software house sono però riuscite a sorprenderci come ha fatto Riot Games a Santa Monica, arrivata a convertire un ex studio cinematografico in una sorta di enorme campus pensato per ospitare alcuni dei più talentuosi sviluppatori del pianeta. E la nostra ultima frase non è un'esagerazione: le risorse non mancano di certo al colosso americano (League of Legends è d'altronde un fenomeno globale inarrestabile ormai da un pezzo), ma se non altro i capoccia della casa sembrano averle utilizzate per spianare la strada del team verso un futuro ancor più radioso, dando il via a una lunga lista di progetti di altissimo profilo capeggiati da super esperti del genere di appartenenza.

Certo, a noi è stata data la possibilità di interagire solo con la squadra alle redini del progetto Valorant - l'atteso sparatutto competitivo di cui abbiamo già parlato in una corposa preview poco tempo fa - eppure se il modus operandi della casa per questo gioco dovesse venir applicato a tutti gli altri titoli in produzione a Santa Monica, sarà davvero il caso di aspettarsi un balzo qualitativo gargantuesco da parte di Riot, potenzialmente in grado di porre la casa al centro dell'ecosistema del gaming in modo simile a come lo erano Blizzard e Valve nei loro anni d'oro.

Creato per essere perfetto

Ci rendiamo conto di quanto il paragone sia azzardato, d'altro canto stiamo parlando di due delle software house più popolari e importanti nella storia del gaming occidentale, ma vi assicuriamo che osservare il processo di creazione di Valorant è stato a dir poco illuminante, poiché ha sottolineato la volontà della casa americana di mettere in piedi una catena produttiva quasi perfetta, costruita attorno ai desideri dei fan di un dato genere, e ai possibili miglioramenti dei suoi prodotti più iconici. Valorant avrebbe pur sempre potuto percorrere la facile via dell'accessibilità ad ogni costo, inseguire una formula marcatamente più arcade, o basarsi su semplici ricerche di mercato, e invece Riot ha deciso di dar forma a un'opera pensata per perfezionare quegli FPS tattici che ad oggi hanno piglio principalmente sull'utenza core e già preparata, semplicemente perché erano quelli internamente ritenuti più appassionanti. Per carità, la vicinanza a Counterstrikeappare ovvia già giocando pochi minuti, però non è il caso di pensare che non ci siano state influenze da altri titoli, o che il team non abbia sperimentato con formule molto diverse da quella finale. Nella lista delle "ispirazioni" figuravano videogame come Rainbow Six Siege, Crossfire, Ghost Recon Future Soldier e Pointblank, e durante la presentazione gli sviluppatori ci hanno rivelato di aver sperimentato con vari modelli di shooting e una massa di modalità diverse (con un'inevitabile pletora di errori di percorso nel mezzo degli esperimenti).

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Il fulcro del gameplay, dopo tanti tentativi, è diventato uno solo: "la abilità del giocatore". Il motto della casa è "l'utente viene prima di tutto", e anche se potrebbe sembrare un vacuo slogan per catturare le masse, per Valorant ci sono effettivamente state parecchie discussioni con il pubblico degli amanti degli sparatutto prima della concettualizzazione del progetto, che hanno poi portato allo sviluppo di un titolo pensato per sfidare persino gli esperti, e premiarli per la loro tenacità. Una vita per round, letalità altissima e necessità di gestire un'economia interna e di lavorare di squadra per cavarsela: Valorant segue una formula semplice e impeccabile, appetibile in primis anche per chi lo ha creato. E vi assicuriamo che gli sviluppatori non solo lo hanno giocato fino allo sfinimento, ma sono utenti che non vorreste trovare online, dato che hanno sviluppato in molti casi capacità vicine a quelle dei giocatori professionisti.

Per la cronaca - giusto per sottolineare che i primi amanti del titolo sono proprio i suoi programmatori - si tratterà sì di un gioco free to play, ma con vari agenti disponibili al lancio e un modello di release degli stessi nettamente più lento rispetto a League of Legends, per evitare di creare sbilanciamenti eccessivi. Questa è un'esperienza hardcore calcolata alla perfezione, e a Riot non sembrano in alcun modo intenzionati a rovinarla solo per rilasciare contenuti a raffica e massimizzare i guadagni.

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L'importanza del ping

Del gameplay del gioco abbiamo parlato direttamente con uno dei designer, Trevor Romleski, che ci ha spiegato con grande calma come il sistema di poteri sia stato calcolato per costringere il giocatore a fare più scelte nel dispendio di risorse alla fine di ogni round, favorire una maggior varietà di approcci ad ogni situazione e valutare tatticamente se valga o meno la pena spendere molti soldi subito per avere successo in quella fase o sia meglio mantenere qualche soldo extra per avere più strumenti nei round più avanzati. Ci ha inoltre confermato come dare ad ogni poteri cariche, costi e cooldown differenti faciliti enormemente l'operazione di bilanciamento, basata sui dati raccolti dalle varie partite. Ovviamente, durante lo sviluppo, il team ha invitato a giocare più di un giocatore professionista per sentire i loro pareri, e pare che il loro feedback sia stato prezioso per una lunga serie di aggiustamenti. Dopo svariate prove, tra le altre cose, Riot ha anche scelto come numero perfetto per gli scontri il cinque contro cinque, poiché dà ad ogni giocatore un'importanza notevole nei match, ma al contempo obbliga a coordinarsi e a congegnare strategie complesse per vincere.

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Le finezze sono tante, sia chiaro: si va dalla penetrazione dei proiettili variabile in base al materiale e all'arma usata, alla gestione complessa del rinculo delle armi e della precisione in movimento. Uno degli elementi su cui gli sviluppatori si sono però maggiormente soffermati durante la presentazione in loco è stata l'infrastruttura online, poiché per un titolo come Valorant l'integrità competitiva è fondamentale, e il netcode deve quindi essere quanto di più eccelso possa esistere. Riot non scherza sull'argomento: è partita quasi subito una lunga spiegazione sui problemi derivanti da ping troppo alti negli shooter competitivi online, che è arrivata a tirare in ballo persino il vantaggio durante il "peek out", ovvero il tempo in cui appare a schermo la silhouette di chi durante una partita si sporge per primo da un muro per iniziare la sparatoria. Latenze molto elevate di certi giocatori possono portare a situazioni disastrose, dove chi difende viene ucciso dall'avversario che si sporge prima ancora di vederlo apparire a schermo, mentre ping minimi eliminano quasi del tutto questa magagna. Stando a Riot un ping "onesto" per evitare grane si aggira attorno agli 80 ms, e come detto nel nostro provato il loro obiettivo è di portare quasi tutti i giocatori a 35 ms di media, sfruttando il Riot Direct: in pratica un isp di loro proprietà, con centri nevralgici in 35 paesi diversi, che evita il reroute da provider esterni e i rallentamenti che ne derivano. Nessun altro shooter competitivo può contare su un sistema del genere, concepito inizialmente nel 2015 proprio per migliorare l'esperienza degli utenti di League of Legends ed eliminare la stragrande maggioranza dei problemi di connettività.

Ah, come ciliegine sulla torta, persino le innumerevoli specifiche dei giocatori PC sono state calcolate nell'insieme per minimizzare il problema, eliminando la scattosità nei movimenti di chi lagga attraverso un sistema automatico, e gli sviluppatori sono persino riusciti a sincronizzare quasi completamente la registrazione dei colpi e la posizione effettiva dei giocatori nell'ultimo codice. È uno dei motivi per cui Valorant è una droga per chi ama gli sparatutto: la risposta quando si spara è più immediata e precisa rispetto a qualunque altro shooter online.

Le mappe, e la lotta ai cheater

Un lavoro approfondito di livello simile, ovviamente, è stato fatto anche per le mappe, che spesso sono l'anima degli sparatutto competitivi. Noi abbiamo avuto la fortuna di intervistare Salvatore Garozzo, che le ha create insieme a Chris Carney, e nel caso non sapeste di chi stiamo parlando, il primo è il creatore della mappa Cache di Counterstrike e della versione modificata e ribilanciata di Nuke, mentre il secondo ha lavorato alle mappe multiplayer di Halo 2 e 3, ed è colui a cui si devono i cosiddetti Carney Holes (piccole zone nelle mappe di quei giochi che danno enormi vantaggi tattici se trovate). In pratica, due tra i migliori professionisti al mondo in questo campo, che hanno in primo luogo calcolato le varie location per adattarsi a tutte le armi disponibili e ai poteri degli eroi. Garozzo stesso ha precisato che una mappa è davvero "bella" solo quando supporta molteplici stili di gioco e tiene in considerazione tutti i fattori del caso. Per capirci, tutte le mappe vengono testate ogni santo giorno e modificate nel dettaglio in base ai dati raccolti; durante lo sviluppo, ad esempio, era stata considerata anche la distruttibilità di alcuni elementi, o la possibilità di spostare parti dell'ambiente, ma alla fine non vi sono state implementazioni di queste idee.

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C'è tuttavia un aspetto a cui gli sviluppatori forse hanno pensato persino con più furore di quelli elencati sopra, e si parla del sistema di anticheat di Valorant. Considerate che l'eliminazione dei cheater dal gioco è talmente importante per Riot, che si è iniziato a pensare alla sicurezza del gioco addirittura nella fase di pre produzione, e tutto è stato costruito per rendere inefficace qualunque ruberia. Vi sono molteplici sistemi al lavoro per evitare gabole: il risultato del movimento e del fuoco è determinato dal server, e non è quindi applicabile un god mode, laddove per evitare i wall hack Valorant si appoggia a un sistema chiamato dagli sviluppatori Fog of War che evita di mandare la location dei nemici al client se non è strettamente necessario, rendendo quindi impossibile osservare la loro posizione in giro per la mappa. Questa muraglia difensiva virtuale si chiama Vanguard, ed è accompagnata da una costante analisi dei comportamenti dei giocatori, oltre che da varie opzioni di report dei giocatori in caso di situazioni anormali. Per la cronaca, il ban di eventuali cheater, ci hanno spiegato, non sarà legato agli account ma al giocatore, ed è permanente. È letteralmente guerra a chi bara.

Insomma, se non fosse abbastanza chiaro, nell'ultima creatura di Riot nulla è lasciato al caso: estetica, design, struttura, sistemi interni, gameplay, movimento... è tutto parte di una complessa equazione calcolata per offrire un'esperienza online impeccabile. Se l'intento è dominare il mercato degli sparatutto competitivi, non era plausibilmente possibile affrontare la cosa in modo migliore.