Nel 1949, George Orwell pubblicò 1984, un romanzo distopico che prendeva ispirazione dai regimi totalitari che nel '900 avevano dominato l'Europa e che descriveva un incubo caratterizzato dal controllo totale del pensiero e dell'informazione. In un mondo dove il quarto potere diventava sempre più centrale, Orwell immaginò un'entità governativa, il Grande Fratello, in grado di controllare tutte le attività dei cittadini. Persino il pensiero; persino l'amore. 1984 è senz'altro uno dei tasselli fondamentali della letteratura mondiale e nel corso degli anni è stato fonte d'ispirazione dichiarata di innumerevoli opere. Tra queste c'è anche Karma: The Dark World.
In occidente, quella dello stato intrusivo nella sfera privata del cittadino, può sembrare una tematica non più così attuale; salvo poi tornare centrale ogni volta che, per questioni emergenziali, la democrazia prende decisioni vincolanti. Probabilmente però è ancora molto sentita in quei Paesi monopartitici, dove le questioni politiche di cui discuteva Orwell sono ancora in atto. Tra questi, chiaramente, la Cina. Ci sembra un particolare importante da sottolineare, dal momento che Pollard Studio, che ha realizzato Karma: The Dark World, ha sede a Shanghai.
Viene naturale interrogarsi sulle relazioni tra realtà e finzione perché il loro videogioco, una sorta di thriller fantascientifico con elementi horror, è una reinterpretazione molto vicina al romanzo di George Orwell. Un'enorme corporazione di nome Leviathan sostituisce il Grande Fratello, ma di fatto è la stessa identica cosa: un colosso che decide della vita e della morte delle persone. Che si intrufola con un sistema di controllo totale perfino nei loro pensieri, e che detta ogni legge. Non c'è molta differenza, d'altronde il Leviatano è la figura biblica scelta da Thomas Hobbes per incarnare la forma e il potere dello Stato.
Where is my mind?
La Leviathan Corporation è una enorme megacorporazione che, come apprendiamo all'inizio di Karma: The Dark World, è riuscita a mettere un termine alle guerre che dilaniavano il mondo, portando la pace a un prezzo ben preciso: l'obbedienza assoluta. Siamo nella Germania dell'est e l'anno è, ovviamente, il 1984. Daniel McGovern è un roam, ovvero un agente scelto in grado di entrare nella testa delle persone che vengono sospettate di aver disobbedito alle imposizioni della Leviathan. Grazie alla tecnologia dell'immersione cerebrale, Daniel può scandagliare ogni singolo pensiero, ogni ricordo, alla ricerca del reato. All'inizio del gioco, deve investigare su un uomo chiamato Shawn Mehndez, reo di aver tentato di trafugare dall'azienda qualcosa di molto prezioso.
Come nelle migliori tradizioni della fantascienza corporativa, però, Daniel è a sua volta manipolato da qualcuno, al punto che, nelle sue peregrinazioni lisergiche all'interno della mente dei soggetti che interrogherà, sente sempre più spesso che qualcuno sta alterando anche la sua percezione della realtà. Che c'è sotto una verità che gli sfugge; un grande disegno di cui fa parte. Così, mentre i suoi viaggi nella memoria delle persone diventano sempre più pericolosi, Daniel comincia a farsi domande sulla sua identità e sulla sua vita passata all'interno dell'organizzazione.
Dire di più sarebbe un crimine, dal momento che Karma: The Dark World è un titolo dal taglio cinematografico, che fa proprio della sua storia e delle suggestive immagini che mette in scena il suo punto di forza. Quello che sicuramente possiamo dirvi sono le fonti d'ispirazioni più palesi, e le tematiche che il videogioco affronta. Oltre a 1984, è facile vedere in questo videogioco anche echi dell'altra grande distopia britannica del '900, ovvero Il mondo nuovo di Aldous Huxley, maestro di Orwell, soprattutto per l'idea di un'utopia in cui i rapporti con l'esterno sono pacifici al costo di un controllo praticamente totale della popolazione. L'ambiente della megacorporazione, invece rimanda alla fantascienza di Philip Dick e il videogioco non manca di omaggiare Blade Runner in diverse occasioni: soprattutto nel suo modo di raccontare che si rifà molto al noir, e alla sottesa questione morale che continua a pungolarci per tutto il tempo.
Le ispirazioni sono moltissime e rimandano anche a quelle opere di fantascienza dove tecnologia e carne si fondono, dove reale e virtuale sono indistricabili, tali da mettere in difficoltà non solo i personaggi ma anche lo spettatore: Strange Days, Dark City, eXistenZ. C'è un intero filone sci-fi di lotta contro un sistema distopico e manipolatorio, che poggia sempre su una certa natura penetrante delle tecnologie neurali.
Una distopia moderna
Karma: The Dark World è un videogioco molto cupo, che non lascia granché spazio alla speranza e, anzi, si fa sempre più amaro man mano che si avanza lungo le 5 ore necessarie a portarlo a termine. I riferimenti ai grandi classici della fantascienza distopica non sono solo tematici, ma anche estetici: gli slogan della Leviathan fanno riferimento a quelli di Orwell (l'ignoranza è forza, la pace è guerra), gli enormi dirigibili con la scritta "Leviathan is watching You", quell'atmosfera soffocante che ci ha ricordato più di una volta il riuscitissimo Observer di Bloober Team.
Ci sono momenti straordinariamente suggestivi, che a volte peccano per citazioni poco raffinate (una delle stanze del primo atto è identica alla red room di Twin Peaks), e parentesi narrative molto eclettiche in cui gli sviluppatori di Pollard Studio si sono lasciati andare sognando in grande, specialmente quando si scende molto in profondità nella mente dei personaggi coinvolti.
Da questo punto di vista, bisogna dire che, per essere l'opera prima di un piccolo studio di sviluppo, Karma: The Dark World è a tratti impressionante: Unreal Engine 5 riesce a restituire ambientazioni notevoli per scala e immaginario, oniriche, inaspettate. Inoltre il titolo ha un ottimo doppiaggio in inglese ed è accompagnato da una colonna sonora originale di tutto rispetto.
Il gameplay rimane sempre piuttosto semplice: si legge, ci si muove risolvendo piccoli enigmi, o si scappa da un pericolo che ci insegue. Per la maggior parte del tempo si cerca una password, o la giusta combinazione di oggetti da mettere insieme, perlopiù ci si gode la storia e l'estroso immaginario pensato dal team cinese. Eppure, in un paio di situazioni, Karma: The Dark World è stato in grado di sorprenderci con alcuni puzzle molto riusciti e complessi, e una parentesi horror ispirata a Fatal Frame che non ci aspettavamo.
Più fantascienza che horror
La sorpresa è arrivata anche perché il videogioco cambia molto nel suo percorso, con le prime ore che sono anche quelle meno coinvolgenti. Bisogna entrare in sintonia con le inevitabili legnosità della produzione. Tutto è molto statico, la fisica degli oggetti è perlopiù assente, i modelli dei personaggi che vediamo sono ingessati e riescono a tirare fuori le emozioni solo nei primissimi piani. Nemmeno la regia ci aiuta particolarmente, dal momento che non prova mai a essere audace. Per raccontare ci si affida a una scrittura non sempre brillante e, in alcuni frangenti, fin troppo verbosa. È solo quando ci si immerge nell'irrazionale del subconscio umano che Karma: The Dark World si scioglie e comincia a sentirsi a suo agio nel raccontare per immagini piuttosto che per parole.
Se, nella prima ora di gioco, Karma: The Dark World sembra voler esplorare maggiormente l'aspetto grottesco e inquietante della sua natura horror, con apparizioni improvvise e immagini disturbanti, con il passare delle ore il titolo lascia spazio alla sua anima fantascientifica. In fin dei conti l'orrore che questo videogioco vuole raccontare è quello del potere delle megacorporazioni, una parabola che ci mette in guardia da un'autorità assoluta. La sensazione che si sente più viva, giocando, è quella della paranoia: la paura di essere visti, spiati fin nell'ultimo centimetro della nostra mente, da questo Leviatano che non si fa scrupoli nell'imporsi sul singolo per controllare il pensiero collettivo.
Conclusioni
Karma: The Dark World ha tutti i pregi e i difetti dell'opera prima. Vuole dire tanto, a volte troppo, in una storia che racconta di famiglia, di amore, di colpa, di controllo, ma si perde nelle innumerevoli parentesi che apre. D'altro canto, spesso riesce a stupire con una freschezza e una produzione degne di un videogioco molto più grande di quanto non sia. Forse la migliore qualità che si carica sulle spalle è quella di saper parlare di libertà pur nascendo in un contesto politico tale da renderlo quasi un'opera eversiva.
PRO
- Momenti molto suggestivi, specialmente quando la narrazione si fa intima
- Valori produttivi notevoli per essere un videogioco così piccolo
- Interessante riflessione sulla libertà nel contesto politico in cui nasce
CONTRO
- A volte la scrittura è troppo verbosa e convoluta
- Alcune parentesi hanno dei cali di ritmo
- La natura horror si perde piuttosto in fretta in favore di quella sci-fi