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Casse premio, il punto della situazione

Scopriamo cosa ne è stato della polemica sulle casse premio innescata dallo scandalo per le microtransazioni di Star Wars Battlefront 2.

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   24/09/2018

Ormai quasi un anno fa il lancio di Star Wars: Battlefront 2 fece scoppiare lo scandalo delle casse premio, che da allora si è notevolmente espanso e sta ancora producendo i suoi frutti, coinvolgendo scienza e istituzioni a livelli altissimi. Se il 2017 può essere considerato come l'anno in cui questo sistema predatorio di microtransazioni ha raggiunto il suo apice di aggressività, palesandosi in modo sempre più minaccioso anche nelle produzioni tripla A, il 2018 pare essere sempre più l'anno del suo smascheramento definitivo, con tutte le conseguenze del caso. Prima di parlare di casse premio occorre però precisare alcuni concetti generali, che servono a chiarire meglio le circostanze che hanno portato molti enti internazionali di regolamentazione del gioco d'azzardo a vietarle.

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Le microtransazioni, siano esse casse premio o no, non sono mai un elemento accessorio, ma sono sempre oggetto di precise strategie di design, anche quando appaiono nella loro forma più discreta. Il fatto stesso che vengano implementate richiede il dispendio di una certa quantità di risorse nella loro progettazione, nel loro sviluppo e nel loro mantenimento. Perché funzionino c'è bisogno che siano integrate alla perfezione nel gioco e che non manchino spinte verso il loro uso. L'idea che esistano delle microtransazioni ininfluenti è una pura e semplice sciocchezza: che siano cosmetiche, o legate al gameplay, chi le ha implementate aveva sicuramente in testa un target preciso verso cui indirizzarle e, di conseguenza, ha disseminato il suo prodotto di trappole per attirarlo. Generalmente per funzionare queste trappole hanno bisogno di altri due tipi di utenti che fanno da cornice sociale alle prede, o 'spenditori': quelli che chiameremo i 'guardoni', ossia coloro che non spendono nulla limitandosi a diventare il contrasto oggettivo degli spenditori, cioè degli avatar, e di conseguenza dei giocatori, privi di un'identità sociale forte; e i 'parassiti', ossia coloro indifferenti alle dinamiche identitarie che giustificano però il sistema beandosi della possibilità di avere contenuti gratis sfruttando le deficienze psicologiche e, quindi, la sofferenza di persone che non conoscono.

Casse Premio Il Punto

Cosa sono le casse premio?

Le casse premio sono degli oggetti virtuali consumabili, solitamente dall'aspetto di contenitori, che quando vengono aperti danno un certo numero di altri oggetti virtuali casuali, diversi a seconda del gioco. In senso assoluto le casse premio non sono una forma di microtransazione, ma lo diventano quando è possibile acquistarne con soldi reali o con moneta virtuale acquistabile con soldi reali, a prescindere dalla possibilità di ottenerne alcune giocando. Cercare un'origine precisa per questo sistema nel mondo reale ci porterebbe molto lontano e non è questa la circostanza giusta per farlo. Parlando di videogiochi, il primo titolo conosciuto ad aver implementato delle casse premio come sistema di microtransazioni è il free-to-play cinese ZT Online del 2006. La sua storia è particolarmente interessante perché già contiene i prodromi dell'intera questione: ZT Online non fu infatti progettato da un normale sviluppatore di videogiochi, ma da un matematico specializzato in ricerche di mercato che elaborò il sistema di gioco partendo dalle sue conoscenze di comportamentismo. Come descritto nel libro Red Wired: China's Internet Revolution, ZT Online era un gioco scialbo e banale, che aveva come unico punto di forza il fatto di essere accessibile gratuitamente. I giocatori dovevano poi pagare per migliorare il proprio equipaggiamento e dovevano passare molte ore ad accumulare risorse ed esperienza per crescere di status.

Casse premio, il punto della situazione

All'interno del gioco c'erano anche delle "casse del tesoro virtuali che potevano contenere oggetti dal valore superiore al prezzo di una cassa stessa e permettevano ai giocatori di assoldare dei sostituti che giocavano al posto loro." Da allora le casse premio si sono evolute moltissimo, diventando sempre più subdole e adottando via via dei modelli adoperati dai produttori di slot machine per renderle più attraenti. Alle problematiche economiche e psicologiche legate alle casse premio abbiamo già dedicato due speciali che vi invitiamo a rileggere, così da non ripeterci. Nel primo abbiamo tentato di esporne il design e come questo va a influire su tutti gli altri sistemi di gioco, nel secondo abbiamo intervistato uno psicologo, Bruno Barbera, che ha spiegato i meccanismi inconsci sfruttati dagli sviluppatori per renderle più appetibili. Senza prenderci meriti eccessivi, in quegli articoli cercammo di sottolineare alcuni elementi che sono poi diventati oggetto di studio e di analisi in tutto il mondo, anticipando una tesi che ormai è globalmente accettata come vera, nonostante alcune sfumature di giudizio: le casse premio (e non solo) sono da considerarsi come una forma di gioco d'azzardo e come tale vanno regolate. Ergo moltissimi videogiochi, alcuni dei quali considerati adatti ai bambini dagli enti di classificazione dell'industria videoludica, sono considerabili come dei micro casinò mascherati.

Le prese di posizione della politica

I continenti che finora si sono dimostrati più reattivi sulla questione casse premio sono stati l'Europa e l'Australia. Gli Stati Uniti, nonostante il rumore fatto dalle iniziative del repubblicano Chris Lee, sono ancora al palo in termini di provvedimenti e di leggi. Alcuni gestori di importanti store digitali, come Apple, hanno imposto una maggiore trasparenza ai publisher, obbligandoli a mostrare le percentuali di vincita delle casse premio, ma in generale il caso Battlefront 2 non ha prodotto alcunché di specifico in termini politici.

Casse premio, il punto della situazione

Il fallimento di Chris Lee e dei suoi è stato così roboante che l'analista Michael Pachter è arrivato a definirli dei perfetti idioti. Europa e Australia sono state molto più discrete in termini di retorica anti-casse premio, ma molto più concrete in termini legislativi. In particolare le commissioni per il gioco d'azzardo di Belgio e Olanda, cui si sono accodate molte altre istituzioni simili di altre nazioni, hanno preso delle decisioni che ancora oggi fanno discutere. Ma andiamo con ordine. A luglio 2018 uno studio del Dottor Daniel King dell'università di Adelaide ha definito le casse premio come un sistema di monetizzazione predatorio, le cui meccaniche "possono spingere alcuni giocatori a spendere più soldi di quanti avessero preventivato o possano permettersi, soprattutto tramite carte di credito o monete virtuali che rendono più difficile tenere traccia delle spese. La vendita di casse premio viene spesso accompagnata da tecniche di monetizzazione predatorie, che, esaminando le abitudini di spesa dei soggetti, mirano a fargli spendere sempre di più tramite offerte mirate a metterli sotto pressione, come gli sconti a tempo. Il problema è che il giocatore finisce intrappolato in un vero e proprio loop di spesa da cui difficilmente riesce a uscire." La posizione dell'università di Adelaide è stata rinforzata da un recente studio dell'Australian Environment and Communications Reference Committee che ha definito le casse premio psicologicamente assimilabili al gioco d'azzardo. Stando a quanto esaminato, i giocatori d'azzardo sarebbero più portati a spendere grosse cifre in casse premio e viceversa.

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In Europa, Belgio e Olanda hanno messo al bando le casse premio di alcuni giochi, considerandole come una forma di gioco d'azzardo: Heroes of the Storm, Overwatch, serie NBA 2K, Counter-Strike: Global Offensive e serie FIFA. Dei publisher coinvolti, solo EA si è rifiutata di ottemperare alle richieste delle due nazioni ed è stata messa sotto inchiesta. Di suo 2K Games, il publisher della serie NBA 2K, ha invitato i videogiocatori ha schierarsi a favore delle casse premio contro le due nazioni europee, ma non ha ottenuto granché in termini di supporto, segno che anche i giocatori più permissivi considerano al massimo le casse premio come un male necessario, ma non sarebbero poi così dispiaciuti se sparissero. Sulla spinta di Belgio e Olanda, "quindici agenzie nazionali che si occupano di regolamentare il gioco d'azzardo, quattordici europee e una statunitense, hanno firmato una dichiarazione comune riguardante il fenomeno delle microtransazioni", in cui affermano di essere preoccupate per il confine sempre più labile tra microtransazioni e gioco d'azzardo.

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Da notare che tra i firmatari c'è anche la Francia che, pur non riconoscendo le casse premio come gioco d'azzardo, le ha definite comunque al limite e sta continuando a studiarle. In tutto questo l'Italia appare assente, ossia non si segnalano iniziative specifiche delle nostre istituzioni sull'argomento casse premio. A inizio 2018 della scorsa legislatura, la commissione VI del ministero della finanze ha prodotto un'ampia relazione sul problema del gioco d'azzardo in Italia, senza però toccare l'argomento casse premio. Purtroppo non si segnalano iniziative legislative passate o presenti, segno della totale inconsapevolezza del problema, che pure ormai riguarda milioni di persone.