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Raccontare di luoghi remoti e fantastici per raccontare di noi

Cosa hanno in comune un'acciaieria in Polonia, Rapture, City-17 e il progetto di una villa con 46 stanze?

SPECIALE di Alessandro Zampini   —   29/07/2025
L'ambientazione di Cronos: The New Dawn
Cronos: The New Dawn
Cronos: The New Dawn
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Nowa Huta è un quartiere di Cracovia che prima degli anni Cinquanta non esisteva. Lo volle l'Unione Sovietica, al tempo alleata della Polonia, per poterlo riempire degli operai che avrebbero da lì a qualche anno animato il Kombinat, l'Impianto, e cioè una delle acciaierie più grandi d'Europa che negli anni Settanta avrebbe avuto fino a 40 mila dipendenti e avrebbe prodotto oltre 7 milioni di tonnellate d'acciaio all'anno.

Girarci adesso è un'esperienza straniante, la reliquia di un passato complicato, della visione che il mondo sovietico aveva del futuro in quegli anni, fatto di grandi spazi aperti, viali enormi, palazzi anonimi e tantissimi parchi. Un'utopia socialista che servisse da esempio per il mondo occidentale, dove le persone erano (o dovevano essere) felici di vivere e lavorare. Dopo essere nato come Vladimir Lenin Steelworks e aver vissuto il suo momento di massima espansione negli anni Settanta, l'impianto ora si chiama Tadeusz Sendzimir Steelworks, è di proprietà di ArcelorMittal (il secondo più grande produttore di acciaio al mondo) ed è soprattutto il luogo all'interno del quale Cronos: The New Dawn è ambientato.

La piazza centrale di Nova Huta, poco dopo essere stata costruita.
La piazza centrale di Nova Huta, poco dopo essere stata costruita.

Per un gioco in cui il mondo è praticamente finito negli anni Ottanta, poco prima che il blocco sovietico si disgregasse, questa è in effetti un'ambientazione perfetta: il sogno socialista sembra infatti cristallizzato nel tempo, con la sua idea di ordine, di società e soprattutto con la sua architettura brutalista, austera e grandiosa. Tutto quello che i game designer di un survival horror sognano, insomma.

Da Nowa Huta alle profondità di Rapture

"L'architettura monumentale e brutalista di Nowa Huta si adatta perfettamente al mondo horror e ai temi che volevamo affrontare", mi ha detto Dawid Barański, che di Cronos: The New Dawn è uno degli scrittori. "Il suo carattere maestoso e oppressivo eleva le storie di desiderio di relazioni umane e il tentativo di trovare l'umanità in quei tempi disumani.

L'ambientazione di Nowa Huta è perfetta per un gioco horror come Cronos: The New Dawn.
L'ambientazione di Nowa Huta è perfetta per un gioco horror come Cronos: The New Dawn.

Sembrava uno scenario naturale per una storia di sopravvivenza post-apocalittica oscura, pur essendo allo stesso tempo qualcosa di completamente nuovo e diverso. Non è un vicino pianeta alieno o una qualche astronave abbandonata. Nowa Huta è un luogo reale con una ricca storia, un tentativo fallito di creare l'utopia socialista. E nonostante il fatto che ci siamo permessi di apportare alcune modifiche a quella storia, crediamo che questa ambientazione renda l'intera storia più radicata e riconoscibile".

Prendere elementi comuni e usarli come metafora che racconti qualcosa di più grande è quello che i bravi scrittori e registi provano a fare con le loro opere. Creare un'ambientazione che, per quanto fantastica o futuristica, sia ancorata alla realtà è esattamente quello che permette di considerarla vera, di creare con lei una relazione. Alcuni dei più memorabili luoghi in cui sono ambientati i videogiochi sono evidentemente luoghi alieni alla nostra concezione della vita, ma non di meno sono uno specchio della nostra società, ed è questo il motivo per cui ci siamo così affezionati.

Un scorcio di Rapture, dipinto da Craig Mullins per la copertina del romanzo BioShock: Rapture.
Un scorcio di Rapture, dipinto da Craig Mullins per la copertina del romanzo BioShock: Rapture.

Rapture, la città sottomarina nella quale sono ambientati i primi due capitoli di BioShock, è perfetta in questo contesto: è verosimile ma non realistica (stiamo parlando di una città sottomarina enorme costruita alla fine degli anni Quaranta), piena di fascino e carattere tanto dall'essere (quasi) la protagonista dei due videogiochi, in barba al suo creatore. Lo stile Art Déco (quello dei primi grattacieli di New York, per capirci) è perfetto per imporre al giocatore un senso di opulenza, meraviglia e severità, e fa da contrasto a quando, inevitabilmente, l'utopia di Andrew Ryan si scontra con gli istinti del genere umano. Rapture ci sembra credibile perché nonostante la sua natura fantastica, quello che succede al suo interno è estremamente umano: invidie, gelosie, prevaricazione e mancanza di empatia.

Fine del viaggio, benvenuti a City-17

Pure se per motivi opposti, è facile immedesimarsi (soprattutto in questo preciso momento storico) con gli abitanti di City-17, la città in cui inizia Half-Life 2 pensata da Viktor Antonov, che riesce, con gli strumenti tecnologici del 2004, a restituire come pochi altri luoghi virtuali hanno fatto prima e dopo il senso di oppressione, precarietà e ingiustizia che una occupazione militare può lasciar immaginare. City-17, è anche lei fortemente ispirata al brutalismo sovietico, tutto cemento e angoli vivi, ma è anche un luogo estremamente militarizzato, dove una forza aliena ha soggiogato la popolazione locale.

La City-17 di Antonov, contesa tra Combine e umanità.
La City-17 di Antonov, contesa tra Combine e umanità.

Eppure, nonostante questa sia la prima cosa che salta all'occhio, è anche molto di più: è la sede della resistenza, nella quale ogni tetto e ogni scantinato possono essere una via di fuga o un luogo dove nascondere armi o oggetti utili. In poche schermate e pochi ambienti Antonov riesce a rendere il giocatore partecipe di una situazione che per quanto irrealistica (alieni che invadono la terra) è estremamente comune (alieni, nel senso di persone non del luogo, che invadono un altro paese). "Un videogioco non ha una storia lineare, a differenza di un film", ha detto Antonov in una ormai vecchia intervista a Vice. "Ciò che è importante in un videogioco è la sua backstory, ciò che è accaduto prima dell'inizio stesso del gioco, in modo che l'universo creato abbia una reale profondità".

Quando l'ambientazione È il gioco

A volte invece, è l'ambientazione a diventare il gioco stesso: se avete un'età vi ricorderete probabilmente Myst e Riven, due avventure di Cyan nelle quali si vagava per posti pazzeschi e si dovevano risolvere enigmi che richiedevano un certo impegno. In quel caso, il gioco è di fatto l'ambientazione, perché è tutto quello che si vede e con cui in sostanza si può interagire. In The Witness, di Jonathan Blow, in maniera similare si cammina per un'isola colorata e complicata nella quale il colpo d'occhio è spesso la chiave alla risoluzione degli enigmi. E più l'ambientazione diventa centrale nell'economia del gioco, più questo si fa concettuale e diventa l'intero gioco, come nel caso del recente Blue Prince.

Sviluppato da Dogubomb e pubblicato da Raw Fury, in Blue Prince si devono scoprire i segreti di una enorme magione fino a trovare l'elusiva e segretissima stanza 46. Si parte da una griglia vuota e un numero limitato di risorse (tra cui i passi, per esempio), e si deve, partita per partita, progettare la casa in modo da sbloccare tutte le stanze, scoprire tutti i segreti e raggiungere infine l'ultima stanza. In Blue Prince il gioco stesso è l'ambientazione: le meccaniche da roguelite (ogni volta si riparte conoscendo qualcosa di più di prima e riuscendo a tenere qualche elemento che aiuta ad andare avanti) sono funzionali al solo svelamento dell'intero mondo di gioco, che viene scomposto in elementi singoli, le stanze, e ricomposto dal giocatore stesso, che riesce a essere sia il game designer che il giocatore.

Tre stanze in successione, la luce in fondo alla porta e due misure appena accennate: tanto basta a Blue Prince per conquistare il giocatore.
Tre stanze in successione, la luce in fondo alla porta e due misure appena accennate: tanto basta a Blue Prince per conquistare il giocatore.

L'utilizzo dello spazio e dell'ambientazione di Cronos: The New Dawn non è così concettuale e si poggia su basi molto più consuete ma non per questo prive di fascino: c'è un mondo che è finito negli anni Ottanta, un'acciaieria piena di mostri abominevoli, un sacco di oscurità e la certezza che in ogni stanza si può incontrare la morte. "Ci piace l'idea di fare giochi e ambientarli in posti che conosciamo", hanno detto Jacek Zieba, Wojciech Piejko e Grzegorz Like, che sono i due co-director e il lead writer del gioco, perfettamente consapevoli che la differenza tra qualcosa che rimane e qualcosa che ci si dimentica sta tutta lì, nel trasfer emotivo che avviene tra chi crea e chi fruisce. E se parli di qualcosa che conosci e che senti tuo, beh, è tutto più facile.