C'è un antefatto che introduce questa ennesima, piccola storia dell'orrore. Nel 2021, Tarsier Studios, che aveva creato Little Nightmares quattro anni prima, e che aveva firmato anche il sequel, annunciò che il suo lavoro sulla serie si sarebbe interrotto. Tarsier era infatti stato acquistato da Embracer Group, ma l'IP di Little Nightmares restava in mano a Bandai Namco, che l'aveva pubblicata sin dal primo capitolo. Il franchise era un buon successo e sarebbe stato un peccato gettarlo via. È vero che c'erano già tre videogiochi (uno uscito esclusivamente su mobile, Very Little Nightmares) e che quell'universo aveva detto molto di sé e del suo modo di fare. Ma forse non tutto.
Così Bandai Namco cominciò a cercare qualcuno a cui affidare il futuro della serie. Un paio di anni più tardi fu annunciato il terzo capitolo di Little Nightmares, passato in mano nientemeno che a Supermassive Games. Uno studio inglese (Tarsier è invece svedese), decisamente più grande dei creatori originali del brand e con una lunga esperienza nello sviluppo. Anche nella narrazione di storie dell'orrore, dal momento che Supermassive ha firmato successi come Until Dawn e The Quarry. E alcuni flop, bisogna dirlo per dovere di cronaca. C'era, in ogni caso, una differenza consistente tra i due team, al punto da poter pensare che non fossero perfettamente sovrapponibili.
Questo anche perché, in ambito artistico, di solito la terza opera di un franchise è quella di rottura. La prima rivela, la seconda conferma, la terza dovrebbe stupire, perché ha l'ingrato compito di ripensare certe regole, di reinventarsi. Non è di certo una regola scritta, ma essenzialmente è un monito per evitare l'inevitabile fase di stanca che arriverebbe con una terza iterazione in linea con le precedenti. La terza opera è in genere quella in cui si fa il salto, quella in cui si rischia. E sarebbe stato auspicabile, dal momento che tutti i segnali andavano in questa direzione: il nuovo team, la ripartenza della serie dopo un lungo stop, e anche un po' di sana competizione con Reanimal, il nuovo progetto di Tarsier Studios.
Un amabile catalogo dell'orrore
Torniamo ai nostri piccoli incubi. La narrazione di Little Nightmares è sempre stata molto allegorica, e soprattutto ha sempre avuto alcune caratteristiche estetiche che era chiaro Supermassive non avrebbe cambiato, per preservare lo spirito del racconto. In due parole: protagonisti bambini in fuga da un mondo di adulti disgustosi. Questi piccoli incubi erano talvolta basati su piccole paure: essere inseguiti, restare al buio, ritrovarsi da soli in balia di figure autoritarie, di quei "grandi" persi nella loro burocrazia o intenti a consumare ogni cosa con voracità, a divorare il più debole. In Little Nightmares III, per esempio, c'è una splendida segretaria-ragno che scartabella il suo schedario alla ricerca di chissà che cosa. Guai a distrarla dal suo lavoro.
Ecco, Little Nightmares, lo dice il titolo, è un insieme di sogni mostruosi in cui dei bambini lillipuziani cercano di sfuggire alle attenzioni di un mondo che non intende ascoltarli. Che vuole solo renderli ingranaggi di un macchinario ben oliato. È così anche per Low e Alone, i due protagonisti della storia: uno è un ragazzino magro, con i capelli ricci, un mantello e la maschera da corvo calcata sul viso; Alone, invece, è più misteriosa: indossa un paio di occhialoni, una tuta che la copre integralmente. Non ci sono segni della sua umanità, se non per quei due ciuffi di capelli rossi che le sbucano dal copricapo.
Nessuna grande premessa, si parte velocemente con l'avventura e in generale le parentesi narrative sono molto poche e circoscritte. Low e Alone sono amici, cooperano per fuggire da un ambiente ostile, attraverso uno specchio che li trasporterà in un altro mondo, un altro orrore. Inizialmente si trovano in uno scenario ben illuminato da un sole che tinge tutto di giallo, mentre un enorme bambolotto li insegue e tenta di afferrarli. Un'ambientazione molto diversa dai tuguri oscuri dove spesso si trovano i protagonisti di Little Nightmares, quasi arabeggiante, da Mille e una notte. Dissipa, in parte, le tinte horror tipiche della serie.
È una scelta consapevole, e una delle parentesi più originali del racconto, che però ben presto ci riporta in ambienti che conosciamo già: un ospedale abbandonato, un circo degli orrori, una fabbrica dove il suono delle macchine è assordante. Qui i pigri e flaccidi dipendenti vengono trasportati da una parte all'altra da enormi macchinari che li spostano, quasi fossero anch'essi parte di una congegno. I due protagonisti viaggiano, attraversando questi diorami dell'orrore, braccati da creature umane e disumane come vecchi signori, pazienti dell'ospedale che sembrano fantasmi, o inquietanti burattini che gestiscono il luna park. Sembra di sfogliare un libro illustrato delle ambientazioni horror più gettonate. Manca un po' la sorpresa, per l'appunto, la voglia di osare che si esaurisce con quella prima ambientazione così atipica, ma in definitiva così originale.
In due il mondo fa meno paura
La novità più rilevante di Little Nightmares III, invece, è da ricercare proprio nella coppia. Se è vero che anche il secondo capitolo viveva della cooperazione tra i due protagonisti, uno controllato dal giocatore e l'altro dall'IA, questa volta c'è la possibilità di affrontare l'intera avventura in compagnia di qualcun altro, ma esclusivamente online. Il perché di questa scelta controversa non è ben chiaro: gli sviluppatori dicono che è per preservare il senso di solitudine tipico della serie, ma non suona del tutto convincente. I personaggi si separano appena, perlopiù nella transizione delle schermate, ma per gran parte del tempo condividono lo spazio al punto da pensare che, con qualche accorgimento, si sarebbe perfino potuto evitare lo split screen. Perlomeno La cooperativa online beneficia del sistema Friend's Pass, che permette di giocare in due con una sola copia del videogioco.
I due personaggi sono dotati di strumenti differenti: Low ha un arco, che gli permette di colpire alcuni oggetti posti in alto o di bersagliare nemici per evitare di essere acciuffato; Alone ha un'enorme chiave inglese, che può utilizzare per rompere gli oggetti, addirittura le pareti che presentano qualche crepa. Inoltre, i due collaborano dandosi una mano a trasportare oggetti, o magari facendo da scaletta per l'altro quando un salto non basta per raggiungere sporgenze e interruttori. Alcune porte vanno aperte sfruttando la forza di entrambi, e qualche botola deve avvertire il peso dei due bambini prima di cedere e lasciarli cadere verso il futuro. L'avventura, però, è anche totalmente giocabile da soli, con l'altro personaggio pilotato da un'IA che a volte è sorprendentemente intelligente e altre volte lo è davvero poco. Ecco, in un eterno contrasto tra ciò che è necessario fare in due e ciò che invece dev'essere fruibile anche da soli, i ruoli dei due personaggi non sono mai così netti.
In Little Nightmares III le situazioni in cui i due videogiocatori devono completarsi a vicenda sono davvero poche. Siamo lontani da quella intrigante fusione di anime che avviene nei titoli di Hazelight Studio, che sarebbe impossibile pensare come esperienze da giocatore singolo. In uno dei rari scontri del gioco, alcuni burattini ci inseguono e vanno prima decapitati con una freccia sparata da Low, e poi frantumati con la chiave inglese di Alone. Queste situazioni si contano però sulle dita di una mano.
Certo, questa esigenza nasce dalla volontà di rendere Little Nightmares III un titolo che è possibile (ma non necessario) affrontare insieme a qualcun altro. Il che sarebbe anche un proposito virtuoso, perché non tutti hanno a disposizione qualcuno con cui portare a termine l'avventura. Ma ciò inevitabilmente impedisce al videogioco di presentare situazioni in cui due cervelli umani devono collaborare per risolvere un problema, magari anche indipendentemente l'uno dall'altro, per poi ricongiungersi nella soluzione. In questo caso la sensazione è che la possibilità di affrontare il gioco in coppia sia sullo sfondo e non diventi mai centrale.
Charming horror
Quando dicevamo che la novità più rilevante del gioco fosse la co-op, è perché tutto il resto è in grande continuità con la serie. Ci si augurava che la terza opera fosse quella dello strappo, ma Little Nightmares III non segue questa regola. La struttura è caratterizzata sempre da quella progressione gradevole, che dura le sue 5 ore di inseguimenti e puzzle. "Gradevole" è un aggettivo che non andrebbe mai utilizzato quando si parla di un horror, ma Little Nightmares fa scuola a sé, e non è un caso che Bandai Namco lo descriva come un "charming horror", che sembra un ossimoro, ma rappresenta precisamente la natura da favola oscura della serie.
Seguendo gli stessi canoni dei capitoli precedenti, anche in questo caso non mancano gli inseguimenti che hanno reso iconici alcuni momenti dei giochi passati, così come quelle sessioni trial and error arrivate all'apice con il secondo episodio. Sbagliare per capire come affrontare gli ostacoli, come superare alcuni momenti stealth, è fondamentale, e per fortuna i checkpoint sono sempre distribuiti in maniera generosa e precisa. Tutti i puzzle, invece, ci sono sembrati un po' meno ispirati che in passato, o forse è solo che la terza iterazione degli stessi li ha resi di routine. Fa eccezione un'unica trovata molto interessante, che però il videogioco sfodera solo alla fine e abbandona in fretta.
Non si può di certo dire che Little Nightmares III sia poco riuscito nel suo incedere, nella sua proposta e nella sua estetica, ma è come se non riuscisse a sognare più in grande di così. Come se fosse impegnato a restare in certi confini che lo rendono Little Nightmares, e non riuscisse a scappare nemmeno lui da quest'incubo fatto di partite ad acchiapparella con adulti viscidi e mostruosi. Ripensando a quella storia all'inizio dell'articolo, quella del team che cambia e che può proporre la sua visione, fa tristezza pensare che Supermassive aveva la possibilità di fare il suo Little Nightmares, e che invece abbia cercato di fare lo stesso videogioco di Tarsier Studios.
Conclusioni
Little Nightmares III è il solito, piccolo, squisito incubo confezionato attorno alle paure di due bambini che fuggono da un mondo di "grandi" disgustosi. La novità più concreta è la cooperativa online, che consente a due videogiocatori di collaborare sfruttando le capacità uniche di ogni personaggio. Alla ricerca, però, di un equilibrio tra un videogioco che è possibile completare anche da soli e uno dove la cooperazione tra giocatori conta davvero, Little Nightmares III non spinge troppo su questa componente, rendendola sì piacevole, ma mai centrale. Per il resto, è reiterazione di momenti e situazioni che abbiamo già vissuto nei capitoli precedenti. Ci sarebbe piaciuto vedere più il punto di vista di Supermassive Games alle prese con questo universo e non la conferma di certi canoni.
PRO
- Durata perfetta: non ci si annoia mai
- Basta una sola copia del gioco per la co-op online
- L'estetica è squisita, ma al contempo inquietante
CONTRO
- Lo stile comincia a diventare manierista
- La co-op è solo online, non c'è possibilità di giocarlo in due in locale
- Non prova ad offrire una prospettiva originale