Mio fratello ha 12 anni e, come tanti altri suoi coetanei, "videogioca per moda": è cool farlo ed è ancora più cool potersi vantare con gli altri di aver ottenuto un brawler particolarmente raro da una cassa aperta su Brawl Stars o di aver una skin particolarmente appariscente su Fortnite.
"Sei un "nabbo" se non hai quella tutina in particolare", mi racconta quando ogni tanto provo ad indagare questa "passione" che, lo confesso, in famiglia abbiamo sperato fosse figlia di una moda passeggera. Invece siamo ancora qui, oggi, a discutere con lui quando passa le ore in spiaggia ad aprire casse brawl su un simulatore di casse (di cui, francamente, non immaginavo l'esistenza) o di quanto non possa pensare di usare i suoi risparmi per poter avere un vestito differente sul battle royale di Epic Games o della vernice alternativa su Rocket League.
Si discute fin troppo anche della possibilità di poter introdurre una PlayStation 5 in casa da utilizzare esclusivamente per giocare assieme agli amici ai titoli sopracitati, un dibattito che immancabilmente si conclude con un 1-0 per i miei genitori. Giustamente.
Ma guardando meglio, questa passione per Fortnite potrebbe aprire nuovi mondi a mio fratello e non essere un capriccio fine a sé stesso.
C'è un "ma" infatti, ed è uno di quei "ma" che non avrei mai creduto di poter tirare fuori da una discussione di questo genere: Fortnite ha aiutato, e sta aiutando, il mio fratellino a crescere in un modo del tutto particolare sotto il profilo culturale e delle passioni. Vedete, un titolo come questo, che affonda le sue radici estetiche nelle più disparate sfumature della cultura pop non può fare altro che far scaturire nell'animo del videogiocatore collezionista di skin e affini delle curiosità. Quelle curiosità, che diventano domande, iniziano a trovare risposta in fumetti, anime, manga, film e via discorrendo.
È forse questo l'aspetto chiave che mancava a me e ai miei genitori per poter comprendere e accettare pienamente il percorso videoludico che il mio fratellino stava intraprendendo? Non gli abbiamo mai nascosto, io in primis, la nostra disapprovazione verso un modo di giocare fortemente incentrato sull'ottenere maledetti orpelli estetici invece di godersi il resto degli elementi di gioco, è vero.
Eppure oggi, in casa, nella libreria di mio fratello sono presenti numerosi albi Marvel, qualche volume DC e i primi 4 numeri di Punto Zero, il cross-over fra Batman e Fortnite. Non solo, dall'acquisto di questi fumetti è arrivato agli scaffali con i manga portando a casa qualche numero di My Hero Academia che a sua volta lo ha portato a scoprire l'immenso mondo degli anime entrando nei titoli correlati dello stesso su Netflix. Se albi come Punto Zero sono arrivati in casa solo ed esclusivamente per concorrere al concorso della skin più bella (alla fine di ogni fumetto è presente un codice per riscattare elementi estetici esclusivi) è anche vero che tutto il resto è giunto senza particolari secondi fini: il battle royale di Epic in fin dei conti ospita spessissimo eventi a tema super-eroi (si pensi ad esempio a quello che vedeva protagonista Thanos e il Guanto dell'Infinito) e ha al suo interno un buon numero di skin legate all'universo Marvel (mi ha mostrato il suo Thor con un orgoglio incredibile) quindi il passo successivo sarebbe stato, in effetti, molto breve.
Mi pento, quasi, di non esserci arrivato prima: Fortnite è, a tutti gli effetti, una porta sul mondo per tutti quei ragazzini che ci spendono decine di ore (e di paghette) che si può spalancare su praticamente ogni cosa, dalla più banale scoperta di un nuovo cantante alla rivelazione di un intero filone narrativo da poter seguire e di cui innamorarsi.
È dura da ammettere ma senza questo gioco oggi mio fratello non mi chiederebbe informazioni in merito a Miles Morales o su quante stagioni di My Hero Academia esistono in Giappone o forse, molto più semplicemente, si tratta di un'altra "chiave" per queste piccole porte e io sono solo un "boomer" che non ha mai capito quanto i tempi siano cambiati.
Non sono in grado di poter dire se tale cambiamento sia positivo o negativo nonostante, come ogni figlio della propria generazione, io cerchi spesso (troppo spesso) di estraniarmi da questo suo particolare mondo senza nemmeno provare a fare capolino al suo interno.
Non posso altresì negare l'alto grado di coinvolgimento che mi ha assalito nel momento in cui sono entrato in contatto con quell'universo attraverso gli altri media con un procedimento squisitamente inverso: se il mio fratellino ha utilizzato Fortnite come ponte per immergersi in una narrazione completamente differente io ho attraversato quegli stessi ponti al contrario per aprire una porta verso l'isola in cui, ogni giorno, mio fratello ricerca una vittoria reale.
Questa dinamica ci travolge entrambi, se leggendo Punto Zero io non sono in grado di comprendere pienamente tutto l'aspetto ludico di Fortnite ignorando completamente ogni citazione troppo profonda al battle royale di Epic Games (elementi che vanno dalle semplici skin a vere e proprie dinamiche di gameplay), dall'altro lui ha bisogno di me per riuscire ad abbracciare la narrativa del Cavaliere Oscuro (dal suo rapporto con Catwoman al personaggio di Snake Eyes con cui si trova a combattere).
Difficile non appassionarsi, o anche solo avvinarsi, a un universo di tale grandezza e tale portata, specialmente nel momento in cui un titolo come Fortnite è in grado di offrire spunti culturali tanto importanti ed imponenti.
Una cosa, però, è certa: grazie a Fortnite mio fratello si è aperto al mondo e grazie a mio fratello mi sono aperto a Fortnite.