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Il lungo ritorno a casa di Silent Hill f, dal Maine a Kanayama

Oltre diecimila chilometri e circa trent'anni per tornare a casa: il nuovo capitolo di Silent Hill è ambientato per la prima volta in Giappone.

SPECIALE di Fabio Di Felice   —   16/03/2025
Silent Hill f sarà il primo capitolo della serie ambientato in Giappone
Silent Hill f
Silent Hill f
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C'è un aneddoto che lega Silent Hill, la città protagonista dell'omonima serie, ed Ebisugaoka, il luogo dove sarà ambientato Silent Hill f. Una storia che attraversa un oceano, più di diecimila chilometri e circa 30 anni di distanza. Si tratta in realtà di un ricordo di Keiichiro Toyama, il creatore del primo capitolo della saga. Quando Toyama era un bambino, viveva nella città di Miyakonojo, nella prefettura di Miyazaki. Un posto circondato dalle montagne, in provincia, dove le case erano perlopiù ancora legate a certe architetture tipiche della tradizione giapponese. In particolare, quella dei suoi genitori, che di giorno era anche la bottega del negozio di alimentari di suo padre. Come molte dimore del tempo, quella casa aveva i bagni esterni.

È un particolare che potrebbe sembrare insignificante, ma forse è per via di quella distanza di pochi metri tra il bagno e la casa che oggi esiste Silent Hill come lo conosciamo. Quando il piccolo Toyama si svegliava nel cuore della notte, con la vescica piena, doveva affrontare l'oscurità delle strade poco illuminate di Miyakonojo per liberarsi. Filava al bagno come un fulmine, tremando di paura, con l'angoscia nel cuore che qualcosa potesse afferrarlo durante il tragitto. E Toyama non è l'unico autore horror della sua generazione ad aver raccontato aneddoti simili: Makoto Shibata, l'autore di Fatal Frame, ha un mucchio di storie legate ai fantasmi che si sono manifestati a casa sua, a Shimizu-Ku, periferia di Shizuoka, quando era solo un bambino; Junji Ito, il mangaka horror più famoso al mondo (e, come vedremo, grande fonte d'ispirazione per Silent Hill), racconta nella sua biografia lo stesso aneddoto: una casa con il bagno esterno, e la paura, in piena notte.

Le architetture tipiche delle città giapponesi svolgono un ruolo chiave nella costruzione dell'orrore nel trailer di Silent Hill f
Le architetture tipiche delle città giapponesi svolgono un ruolo chiave nella costruzione dell'orrore nel trailer di Silent Hill f

Un'intera generazione di maestri dell'orrore giapponesi ha fondato la sua poetica dell'orrore su due sensazioni in aperto conflitto che riguardano la casa, i luoghi dove sono nati e cresciuti: da una parte la sicurezza del focolare domestico; dall'altra l'angoscia che questo spazio venga violato. Keiichiro Toyama tornerà a esplorare questa sensazione anni dopo il primo Silent Hill, con Forbidden Siren, ma inizialmente scelse un posto negli Stati Uniti per ambientare la sua storia. E più precisamente una città del Maine, avvolta in una spessa nebbia.

Silent Hill, Maine, New England

Quando si parla di Silent Hill, della prima, indimenticabile, città, c'è una cosa molto importante da tenere a mente: nessuno del Team Silent originale, quel gruppo di outsider che lavorava al videogioco horror di Konami che avrebbe dovuto contrastare lo strapotere di Resident Evil, era mai uscito fuori dal Giappone. Figurarsi se avevano visitato gli Stati Uniti. Se è per questo, nessuno di loro, con l'eccezione di Harry Inaba che subentrerà in una fase avanzata dello sviluppo, parlava inglese. Qualche dubbio sull'autenticità della topografia che stavano realizzando per la cittadina americana sorse piuttosto in fretta: come potevano pensare di realizzare una geografia realistica dal momento che nessuno di loro aveva mai messo piede in quei posti?

La decisione di realizzare un videogioco dell'orrore ambientato in America, nasceva da due esigenze: la prima, come già detto, era quella di correre dietro a Resident Evil, dal momento che questa era l'indicazione che a Konami avevano dato a Keiichiro Toyama quando lo avevano messo a capo del progetto. Il pubblico doveva essere internazionale, non ci si poteva limitare a quello giapponese.

L'altra motivazione era la base di partenza del progetto: l'adattamento di un racconto del più americano degli scrittori horror, Stephen King. Il racconto si intitola La Nebbia e - come quasi tutte le opere di King - si svolge nel Maine. L'idea di tirare fuori un videogioco da quella storia era sfumata in fretta (per una questione di diritti mai concordati), ma l'ambientazione era rimasta, così come l'intuizione della nebbia.

La nebbia è rimasto un elemento centrale di Silent Hill (e un'intelligente espediente tecnico) anche dopo aver abbandonato l'idea di adattare il racconto di Stephen King
La nebbia è rimasto un elemento centrale di Silent Hill (e un'intelligente espediente tecnico) anche dopo aver abbandonato l'idea di adattare il racconto di Stephen King

C'era anche un'altra questione: quella di Toyama, di Naoko Sato (storica designer, poi scrittrice di Forbidden Siren), Isao Takahashi (background designer), Masahiro Ito (monster designer), Takayoshi Sato (character designer), Akira Yamaoka (sound designer e compositore) e di tutti gli altri membri del Team Silent originale, era la generazione cresciuta durante il boom dell'occulto in Giappone: una mania che aveva colpito il Paese durante gli anni '70 e che aveva visto un aumento esponenziale delle influenze dell'occulto occidentale sui prodotti culturali giapponesi. Questi ragazzi erano tutti cresciuti guardando film horror americani e leggendo romanzi gotici europei. Dentro Silent Hill c'è indiscutibilmente l'orrore cosmico di Lovecraft, lo scontro generazionale di Carrie e la dimensione demoniaca di Hellraiser.

La città senza strade

Come costruire un posto immaginario ispirato a luoghi che non si sono mai visitati di persona? Isao Takahashi e Masahiro Ito, incaricati rispettivamente degli esterni della città e dell'Otherworld, la dimensione demoniaca, disegnarono le ambientazioni basandosi sui set che avevano imparato a conoscere attraverso il cinema e la televisione. È noto l'aneddoto secondo cui la scuola elementare Midwich di Silent Hill sia basata su quella che si vede nel film Un poliziotto alle elementari con Arnold Schwarzenegger. Ci sono persino gli stessi poster attaccati alle pareti. Furono prese come riferimento anche pellicole italiane (Toyama era un grande fan di Dario Argento) e i film di David Lynch, in particolare la sua serie TV I segreti di Twin Peaks.

La Midwich Elementary School di Silent Hill è stata costruita a partire da quella del film Un poliziotto alle elementari
La Midwich Elementary School di Silent Hill è stata costruita a partire da quella del film Un poliziotto alle elementari

Nonostante i dubbi sull'autenticità, non c'era modo per un team così alle prime armi di fare sopralluoghi dall'altra parte del mondo o di accertarsi che il loro lavoro fosse fedele a come appariva una vera città negli Stati Uniti. Inoltre, al tempo, la questione non sembrava così importante. Toyama aveva provato più volte a chiedere di visitare gli Stati Uniti per fotografare strade, vicoli, quartieri residenziali che avrebbero potuto usare come riferimento, ma al board Konami non sembrava una questione urgente.

La prima occasione per Toyama di andare negli USA si presentò solo nel 1998, con il progetto ormai in dirittura d'arrivo che veniva mostrato per la prima volta all'E3 che al tempo si teneva ad Atlanta. Keiichiro Toyama ebbe occasione anche di visitare il quartier generale di Konami in America, a Chicago e osservò con i suoi occhi diversi scorci che ricordavano la sua Silent Hill, specialmente in quella città dell'Illinois, costruita attorno al Lago Michigan. Se ne tornò in Giappone con il cuore più leggero e un pacco di foto da mostrare agli altri membri del Team Silent.

L'occasione per ricostruire una Silent Hill più autentica, arrivò con il secondo capitolo, quando Takayoshi Sato si trasferì in California
L'occasione per ricostruire una Silent Hill più autentica, arrivò con il secondo capitolo, quando Takayoshi Sato si trasferì in California

Certo, un viaggio non era abbastanza per tirare su una simulazione convincente di un'eventuale cittadina americana. A renderla più realistica in tal senso fu Takayoshi Sato, in seguito, quando lavorò su Silent Hill 2 dopo essersi trasferito in California. Per Toyama e i suoi era difficile perfino immaginare un nome per un posto del genere. Alla fine si scelse di tradurre in inglese una prefettura particolarmente cara al team di sviluppo. In molti, infatti, venivano da città nella prefettura di Shizuoka, una parola giapponese formata dalle parole collina e silenzio: Silent Hill. Fa sorridere pensare che Shizuoka dista appena due ore di auto da Kanayama, la città che ha ispirato Silent Hill f.

Un horror urbano

Certo, quella sensazione di approssimazione era comunque rimasta appiccicata addosso a Keiichiro Toyama, che trovò soddisfazione solo anni dopo, ambientando il suo successivo videogioco horror proprio nel Giappone rurale in cui era cresciuto. In Forbidden Siren convivono suggestioni che arrivano direttamente dall'infanzia di Toyama e che, per certi versi, aveva anche inserito all'interno della geograficamente lontana Silent Hill. La strisciante sensazione del quotidiano che va in pezzi, l'ordinarietà dei luoghi familiari che vengono corrotti, la prossimità con una comunità che hai imparato a conoscere che diventa improvvisamente un pericolo.

Non c'è più vita negli scorci di Ebisugaoka, solo una quotidianità abbandonata
Non c'è più vita negli scorci di Ebisugaoka, solo una quotidianità abbandonata

C'è molto, in queste suggestioni di ciò che rende unico l'horror di un illustre collega di Toyama: Junji Ito. Il suo è un horror che serpeggia per le strade abbandonate, nei vicoli ciechi che abbracciano gli appartamenti, tra le tapparelle delle case dove qualcuno ti sta spiando senza che te ne accorga. È l'horror residenziale, urbano, di La città senza strade, di Il bel ragazzo dei crocevia, di Il vicolo sul retro.

È innegabile che Junji Ito sia una delle ispirazioni che collega questi due posti che si trovano a migliaia di chilometri l'uno dall'altro, Silent Hill ed Ebisugaoka. Motoi Okamoto, il producer di Silent Hill f, ha sostenuto che la serie ha sempre avuto un'essenza giapponese, ma che l'ambientazione americana stava divorando questa caratteristica. Ha scelto bene le sue parole quando ha sostenuto che la serie si stava occidentalizzando.

Il trailer di Silent Hill f ci suggerisce che sarà importante capire cosa si cela dietro la maschera sociale di Hinako
Il trailer di Silent Hill f ci suggerisce che sarà importante capire cosa si cela dietro la maschera sociale di Hinako

Il lungo percorso verso casa di Silent Hill f parte da qui: per negare il luogo fisico, quella città fondata nel Maine che ormai ha una mitologia così forte da non poter mettere in discussione le sue basi, bisogna tornare all'essenziale. Alle stesse ansie giapponesi che vivevano nel primo capitolo: la lotta generazionale, lo spirito di abnegazione del singolo in favore della comunità, la collettività che schiaccia l'individualità. Tematiche che sono sfumate nel corso dei capitoli, e che invece sembra torneranno centrali in questo videogioco che condivide con la saga molto: il nome, l'anima, la sensibilità, ma non il corpo.

Silent Hill senza Silent Hill

Silent Hill f racchiude, nei pochi minuti che ci sono stati concessi di vedere, già molte delle inquietudini che hanno animato l'horror giapponese per decenni. In particolare l'idea che bellezza e paura dialoghino tra loro, in quel rapporto sadico e perverso che intrattengono eros e thanatos in Tomie del succitato Junji Ito, ma anche in altri esempi come Audition di Takashi Miike, o nell'immortale leggenda metropolitana della Kuchisake-onna. Così come l'aspro scontro intergenerazionale che era il fuoco del racconto di Koushun Takami, Battle Royale, e che ardeva nel petto di un personaggio come Alessa Gillespie, il motore dell'orrore del primo Silent Hill.

Tomie, di Junji Ito, è uno degli esempi più conosciuti di j-horror in cui la bellezza diventa fonte di inquietudine
Tomie, di Junji Ito, è uno degli esempi più conosciuti di j-horror in cui la bellezza diventa fonte di inquietudine

A questo punto, la domanda sorge spontanea: è possibile realizzare un Silent Hill senza Silent Hill? Stiamo trasformando un luogo fisico in uno stato mentale? Perché, a prescindere dalla distanza geografica è impossibile non leggere certe angosce che hanno vissuto nel petto di Toyama, in quel cassetto di paure e ansie che ha riempito per anni prima di riversarle nella sua opera: quella provincia giapponese, quelle strade deserte, la vita che ha ormai abbandonato contesti abitati fino a poco prima e che senza l'elemento umano sembrano improvvisamente appartenere a un luogo distante, spogliato dalla sua quotidianità.

La risposta potrebbe sorprenderci ed essere affermativa: si può fare. Questo lungo ritorno a casa è un po' come quello spazio ignoto che separava le due parti della casa dove abitava Toyama da ragazzino. Lungo e spaventoso, e spesso ci ha riservato sorprese spiacevoli durante il percorso. Ma il viaggio verso oriente sembra condurci a una rinascita. Come se la saga avesse ritrovato la strada, ormai perduta, celata dietro una spessa coltre di nebbia. Un ostacolo che spesso l'ha allontanata molto da quel paesino, tra le montagne. Non importa che la prefettura sia quella di Miyazaki, quella di Shizuoka o quella di Gifu, è la provincia a farci paura. È la familiarità. È il posto sicuro, dove le ombre hanno aspettato per quasi trent'anni di tenderci un agguato.