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God of War Ragnarok: la recensione della nuova avventura di Kratos e Atreus, esclusiva per PS4 e PS5

Finalmente è giunto il momento di dare il nostro giudizio su God of War Ragnarok: la nuovissima esclusiva PlayStation che conclude (?) l'epopea norrena di Kratos.

RECENSIONE di Pierpaolo Greco   —   03/11/2022
God of War Ragnarok
God of War Ragnarok
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Sono passati poco più di 4 anni dall'uscita del God of War che ha rivoluzionato la serie: un soft reboot che ha visto la totale trasformazione di tutti i punti fermi di una proprietà intellettuale che, in mezzo a tante altre, ha fatto la storia del brand PlayStation. L'epopea diretta da Cory Barlog riuscì a convincere praticamente tutti, portandosi a casa numerosi premi come gioco dell'anno e beccandosi un gran voto anche sulle pagine di Multiplayer.it seppure mitigato da una serie di "limitazioni" legate alla varietà dei suoi nemici e alla profondità del combattimento che non ci avevano completamente convinto.

In questi anni i ragazzi di Santa Monica Studio hanno continuato a lavorare sulla loro opera, stavolta diretti da un nuovo regista, Eric Williams, una persona più moderata, abituata a rimanere dietro le quinte, da sempre legata a questa serie e particolarmente competente su tutto quello che concerne il sistema di combattimento. E che tra l'altro abbiamo avuto la grandissima fortuna di intervistare in esclusiva italiana. Il risultato è God of War Ragnarok. Un sequel fortemente legato al suo predecessore, che in concreto ne rappresenta una diretta estensione al punto tale che i due titoli possono praticamente essere considerati un tutt'uno: un unico grande viaggio nelle terre nordiche dove Kratos e Atreus si ritrovano costretti, loro malgrado, a compiere il loro destino.

In questa recensione di God of War Ragnarok cercheremo di essere diretti e, per quanto possibile, concisi nell'analizzare trama, gameplay, novità e vecchi elementi che ritornano, non mancando di mettere in evidenza pregi e difetti di un gioco che ha altissime aspettative e che, probabilmente, riveste anche il ruolo di esclusiva PlayStation più importante dell'anno. Senza nulla togliere a Horizon Forbidden West e Gran Turismo 7. Cercheremo di farlo limitando qualsiasi spoiler ma, speriamo che questo sia ovvio e giustificabile, daremo per scontato che se state leggendo questo articolo, avrete come minimo già completato il God of War del 2018. Se così non fosse, beh, cosa ci fate qui?

Un unico, grande arco narrativo

Il rapporto tra Kratos e Atreus scandisce tutta la storia di God of War Ragnarok
Il rapporto tra Kratos e Atreus scandisce tutta la storia di God of War Ragnarok

Come già ci era capitato di dire nel precedente articolo dedicato al gioco, in occasione della nostra prima prova giocata, God of War Ragnarok segue a ruota gli eventi raccontati del primo capitolo. In realtà c'è un'importante ellissi temporale visto che la storia comincia a 3 anni di distanza dall'epilogo del suo predecessore, poche ore prima della scena post-titoli di coda mostrata in quel capitolo. Questo lasso di tempo è fondamentale per giustificare il "nuovo" rapporto tra Kratos e suo figlio Atreus. I due sono immersi in una serie di compiti di routine che si ritrovano a svolgere giorno dopo giorno durante la costante ricerca di cibo e riscaldamento nell'attesa che la fine del mondo, avviata proprio a causa delle azioni di padre e figlio nel precedente God of War, si abbatta con tutta la sua violenza sui 9 regni norreni.

Non c'è quel dramma sottile, strisciante, che caratterizzava l'incipit narrativo del gioco del 2018, non c'è un elemento scatenante forte come può essere la morte di una moglie e una madre, ma c'è un'onnipresente sensazione di malessere, di preoccupazione, di angoscia: Kratos e Atreus sono due fuggitivi che devono fare i conti con un mondo che non li vuole, che li sta braccando, non hanno praticamente amici con l'unica eccezione della saggia testa parlante Mimir e dei due nani, Sindri e Brok, di cui però si sono perse le tracce.

Se vista dall'esterno questa è la situazione in cui ritroviamo i due protagonisti affaccendati nelle loro vicende quotidiane, è osservate dall'interno che le vite di Kratos e Atreus guadagnano tutto un altro spessore. Ragnarok è infatti, prima di tutto, il racconto di quel legame indissolubile, critico, complesso e sempre pronto a sfilacciarsi, che esiste fin dalla notte dei tempi tra un figlio che diventa adolescente e un padre (ma questo vale per qualsiasi genitore) che si sente inadatto, che non sa come interfacciarsi con chi è parte del suo sangue e della sua carne, che fatica a capire dove piazzare i confini dell'autonomia e dell'indipendenza e dove invece dettare le sue personali leggi di vita.

Sindri è uno dei comprimari più importanti di God of War Ragnarok
Sindri è uno dei comprimari più importanti di God of War Ragnarok

Tutta la trama di Ragnarok è la metafora della crescita di un figlio, delle necessità genitoriali, delle difficoltà insite nell'adolescenza: quel continuo tira e molla tra la volontà di indipendenza che un ragazzo cerca ardentemente, ma che fatica ad ottenere a causa di un genitore troppo apprensivo o semplicemente troppo ingombrante che, per il semplice fatto di esistere e di meritare rispetto, si ritrova a soffocare ogni legittimo desiderio di libertà. Ragnarok prova a spiegare e insegnare come ogni rapporto possa avere i suoi segreti e i suoi omissis, ma quanto sia essenziale che si basi su un rapporto di reciproca fiducia perché altrimenti nulla può resistere al sentore di un tradimento o sotto il peso schiacciante di una profezia che qualcun altro ha scritto per noi. Siamo volutamente criptici perché non vogliamo in alcun modo rivelare alcunché della storia narrata in Ragnarok: vi basti sapere che al fianco delle figure citate poco sopra che ritornano sulla scena (e a queste aggiungiamo Freya che riveste un ruolo incredibilmente profondo e complesso), ce ne saranno moltissime nuove che impareremo a conoscere. Non solo figure sfacciatamente negative come Thor e Odino, ma anche personaggi secondari di grande spessore come l'Angrboda intravista nel primo trailer di annuncio e il sorprendente Tyr a cui si devono gran parte delle svolte di trama.

A farvi compagnia nel prosieguo dell'azione c'è quindi un costante senso di familiarità che si ripercuote anche nell'esplorazione dei nove regni, stavolta tutti davvero presenti seppure esplorabili con diversi gradi di libertà, e che spesso stimolano dei preziosi ricordi. Midgard è un continuo richiamo agli avvenimenti del precedente God of War, ma anche Alfheim o Muspelheim si nutrono di un costante senso di deja-vu che è allo stesso tempo piacevole e malinconico. Chiaramente non mancano zone completamente inedite, che anzi rappresentano la stragrande maggioranza, ma sarà sicuramente interessante anche per voi osservare il lavoro di Santa Monica Studio nel far sì che questo sequel sia rispettoso del passato, ma provi anche a distaccarsi da esso.

Brok assolve alla perfezione la funzione di spalla comica anche in questo God of War Ragnarok
Brok assolve alla perfezione la funzione di spalla comica anche in questo God of War Ragnarok

Come è stato detto più e più volte anche dallo sviluppatore, la struttura narrativa di Ragnarok è composta da una singola, lunga main quest e da una manciata di missioni secondarie che si attiveranno durante l'esplorazione dei 9 regni. Ad eccezione di un paio di occasioni, tutte queste secondarie offrono importanti approfondimenti della trama del gioco e per questo non ci sentiamo particolarmente d'accordo nei confronti di Santa Monica e del suo director quando in molteplici occasioni hanno sottolineato la natura facoltativa di tutte queste attività aggiuntive. Non svolgere almeno le quest secondarie sarebbe davvero un peccato per un titolo di questo tipo, visto che molto spesso offrono spunti e svolte narrative particolarmente importanti, persino nell'endgame. Certo, ci sono anche un nugolo di fetch quest, collezionabili e attività assolutamente adatte solo agli appassionati del completamento a tutti i costi (tra corvi da uccidere e documenti, tesori, fiori e chi più ne ha più ne metta, da raccogliere), ma la progressione, a nostro parere, non può essere così fortemente separata tra la storia principale e tutto il resto che si può fare in Ragnarok, come gli sviluppatori ci hanno voluto far credere in più riprese.

A titolo informativo, abbiamo impiegato 37 ore per giungere ai titoli di coda, completando circa al 75% tutto quello che il gioco è in grado di offrire.

Un action lineare, ma aperto

Svartalfaheim è solo uno dei regni liberamente esplorabili in God of War Ragnarok
Svartalfaheim è solo uno dei regni liberamente esplorabili in God of War Ragnarok

Questa è esattamente la definizione che Santa Monica ha sempre dato al God of War del 2018 e, chiaramente, a questo sequel che ne segue in modo pedissequo le orme: un action adventure lineare nella narrazione, ma aperto nel modo di affrontarla. Ragnarok propone quindi, ancora una volta, un gameplay che alterna in modo sapiente fasi molto guidate ad altissima intensità di scripting (che in realtà sono la minoranza nel computo totale di questo sequel), a situazioni dove il ritmo dell'azione è scandito dal giocatore che dovrà scegliere quanto tempo "perdere" nell'esplorare lo scenario, raccogliere i collezionabili, lanciarsi in arrampicate ed enigmi ambientali, o semplicemente combattere per il puro gusto di farlo, magari nel tentativo di completare un'attività particolarmente ostica o portare a termine una missione secondaria.

Rispetto al primo capitolo, stavolta i reami che prevedono la libera esplorazione sono molti di più e praticamente tutti offrono il medesimo disvelamento: il gioco ci porta a conoscerli e ad affrontarli per la prima volta seguendo la main quest, ad un certo punto c'è una svolta narrativa importante e ci viene data l'opzione di proseguire con la storia principale lasciandoci alle spalle il regno, oppure di continuare a esplorarlo a nostro piacimento scoprendo tutte le aree più o meno accessibili e spostandoci rapidamente a bordo di imbarcazioni e slitte trainate da animali. Rispetto al passato, la componente Zeldiana dove alcune zone rimangono interdette fino al momento in cui guadagniamo determinati poteri è sicuramente più marcata, ma questo non rende chiaramente Ragnarok un metroidvania. Semplicemente è un furbissimo escamotage che lo sviluppatore ha implementato per far sì che il giocatore sia stimolato a ritornare più e più volte in un reame, invece di limitarsi a completarlo al 100% la prima volta in cui il gioco gli fa conoscere quell'area.

Kratos e Atreus continuano a vivere nella loro casa anche nel sequel
Kratos e Atreus continuano a vivere nella loro casa anche nel sequel

Tutto ciò però, unito a quel concetto di attività mai davvero facoltative di cui vi parlavamo in precedenza, fa sì che il ritmo del gioco sia estremamente più compassato, quasi diluito in una lunga serie di attività che ci si sente "costretti" a svolgere ma che fanno crollare inesorabilmente quella sensazione di progressiva scoperta centellinata che era invece alla base del precedente God of War. Ragnarok ti lancia tutto addosso fin da subito e lo fa ripetutamente, al punto tale che al quarto regno in cui girovagare liberamente a bordo di una canoa, si comincia a percepire un po' di fatica.

Sia chiaro che non vogliamo in alcun modo dire che Ragnarok sia un gioco noioso, anzi, più semplicemente che quel trittico di epicità, novità, scoperta che erano alla base delle vicende narrate e giocate nel God of War del 2018, qui vengono meno un po' perché Kratos ora è un padre chiacchierone e insicuro, un po' perché gli dei sono in fondo delle persone comuni con problemi normali, un po' perché tra geyser da congelare, ruote da far girare e cunicoli da esplorare, tutto sa di già visto.

Tuttavia c'è un duplice elemento che spezza questa apparente ripetitività e che segna un violento taglio con il precedente capitolo.

Un combattimento profondo e stratificato

In God of War Ragnarok ci sono moltissimi scudi a disposizione di Kratos
In God of War Ragnarok ci sono moltissimi scudi a disposizione di Kratos

Quando in God of War Ragnarok si inizia a fare a botte, e vi garantiamo che lo farete per decine e decine di ore, il taglio netto con il passato è evidente. Anche in questo ambito, per motivi di spoiler, saremo costretti a trattenerci, ma vi basti sapere che il sistema di combattimento è stavolta incredibilmente stratificato, profondo e soprattutto complesso da padroneggiare. Le opzioni di attacco sono tantissime, non solo in seno a ogni arma, ma anche in tutte le combinazioni e alternanze possibili tra le metodologie di attacco.

Ogni strumento di offesa ha una carica che funge da alterazione degli attacchi successivi, presenta mosse leggere e pesanti, duplici attacchi runici, abilità che sbloccano combo e ulteriori assalti inediti. Ci sono svariate tipologie di scudi, ognuno con il suo colpo speciale che si carica in modo diverso, c'è un'ulteriore abilità con cooldown che Kratos può equipaggiare in forma di cimelio, persino la furia del dio della guerra ora ha una triplice modalità di consumo e utilizzo. E a tutto questo c'è da aggiungere Atreus con due diverse tipologie di frecce per attaccare gli avversari e scatenare ulteriori combo, oltre ai suoi specifici rami di talenti che determinano il comportamento in battaglia e i colpi speciali che può compiere in autonomia.

Si contano decine di mini boss in God of War Ragnarok
Si contano decine di mini boss in God of War Ragnarok

Il risultato è un combattimento estremamente piacevole e vario, dove il giocatore si sente sempre padrone delle azioni ed è costretto a ragionare continuamente in funzione dei nemici che gli si parano davanti, spesso posizionati dallo sviluppatore con astuzia per offrire un tasso di sfida che cresce con costanza per tutto il prosieguo della storia. Tenere a bada i numerosi cooldown, cambiare arma al volo per sfruttare il rimbalzo degli avversari così da mantenerli in aria, inermi, il più a lungo possibile (crediamo che nel sequel la fisica sia stata alleggerita), scatenare la furia al momento giusto per recuperare preziosa energia vitale, interrompere gli attacchi più devastanti sincronizzando a dovere i colpi di scudo, vi farà provare molteplici orgasmi quando l'azione si fa particolarmente dura o dovrete vedervela con qualche attività facoltativa focalizzata sugli scontri.

E tutto questo va a braccetto con un rinnovato sistema di gestione dell'equipaggiamento che, inevitabilmente anche questo, è la diretta evoluzione di quanto visto nel precedente capitolo. C'è tutto e tanto di più: più pezzi di armatura, più elementi accessori per le armi, un sistema di gemme che, combinate tra loro, permettono di avere accesso a bonus passivi in grado di offrire un ulteriore strato gestionale per configurare al meglio il proprio Kratos ideale e così via. E lo stesso vale, chiaramente, per la gestione degli alberi dei talenti che, oltre a essere suddivisi per ogni arma, hanno sezioni specifiche per Atreus e permettono un addizionale grado di configurabilità attraverso alcuni gettoni che è possibile sbloccare per alcune abilità di attacco, così da adattarle al proprio stile di combattimento.

Lo scudo è ancora più importante per scadenzare a dovere il ritmo degli scontri
Lo scudo è ancora più importante per scadenzare a dovere il ritmo degli scontri

E già che ci siamo, parliamo brevemente anche dei nemici: ennesimo elemento polverizzato di Ragnarok che ora si presenta in un mare di diverse opzioni, facendo letteralmente sbiadire il ricordo del precedente capitolo. Innanzitutto ogni reame tende ad avere la sua tipologia di nemici che, per quanto ricorrenti nelle abilità e nelle forme di attacco, aiuta a mantenere alto il senso di scoperta e varietà. Ma poi, soprattutto, ci sono un mare di mini boss che si presentano a oltranza per tutta la prosecuzione del gioco. Chiaramente sul medio e lungo periodo cominceremo a incontrare sempre gli stessi, potenziati con attacchi elementali o combinati in modo tale da non attaccarci più in solitaria offrendo un ulteriore tasso di sfida, ma è indubbio che anche su questo fronte i ragazzi di Santa Monica hanno scelto di stupire, costruendo piani su piani di possibilità, a partire dalle solidissime fondamenta messe a terra nel precedente capitolo.

È nella nostra natura però essere critici a tutti i costi e anche per quanto riguarda il combattimento siamo costretti a evidenziare un difetto reiterato. Se in termini di nemici comuni e mini boss non c'è nulla da poter dire a discapito di Ragnarok, sul fronte degli scontri epici, di quelle battaglie che storicamente hanno caratterizzato la vecchia trilogia, il dosaggio continua a essere con il contagocce. Se escludiamo Thor, di cui in parte si è già visto molto nei trailer e che rappresenta un po' il Baldur di questo capitolo (a buon intenditor...), ci sono giusto un'altra manciata di scontri davvero epici, assolutamente non tutti soddisfacenti e mai davvero giganteschi nella messa in scena. Fortunatamente ci sono pochissimi quick time event anche stavolta, ma purtroppo anche zero cambi di inquadratura per farci percepire una nostra inferiorità numerica o di dimensioni.

Un crossgen da dio

Il colpo d'occhio di God of War Ragnarok è straordinario
Il colpo d'occhio di God of War Ragnarok è straordinario

È davvero impossibile criticare God of War Ragnarok sul fronte tecnico e artistico. Certo, è sempre chiaro fin dal primo minuto di gioco, anzi soprattutto nelle prime ore di gioco, che siamo davanti ad un progetto cross-platform, chiaramente basato su un desiderio di continuità che ha tenuto al palo qualsiasi evoluzione grafica che possa farci intravedere il futuro. Però il colpo d'occhio di questo gioco è sempre straordinario, soprattutto quando a riempire il TV ci sono gli scenari davvero maestosi dei nove regni che contraddistinguono la mitologia norrena. Rocce, vegetazione, neve, la gestione degli scorci di luce in tandem con l'HDR, sono in grado di restituire molto spesso delle vedute straordinarie, sul filo del fotorealismo.

Un discorso similare possiamo farlo per tutti i modelli dei protagonisti, dei comprimari e degli antagonisti, animati in modo ineccepibile, con un'ottima espressività facciale e capaci di restituire cariche emotive molto credibili. Abbiamo notato qui e là un po' di sporcizia sulle animazioni dei corpi, su un certo senso di "pattinamento" che ogni tanto si percepisce osservando i pattern di attacco dei nemici o il movimento delle slitte trainate dagli animali e non possiamo nascondere di aver beccato qualche compenetrazione di troppo, ma qui ci stiamo davvero imbattendo nel cosiddetto pelo nell'uovo. Tra l'altro l'effettistica che spesso riempie lo schermo è anche capace di mascherare a dovere una certa staticità di fondo degli elementi presenti sullo scenario.

Lo scontro tra Kratos e Thor è uno dei pochi momenti davvero epici di God of War Ragnarok
Lo scontro tra Kratos e Thor è uno dei pochi momenti davvero epici di God of War Ragnarok

Ragnarok può essere giocato scegliendo tra due modalità grafiche, tanto su PS5 che su PS4 Pro: privilegiando il frame rate o la risoluzione, con alcune opzioni extra sulla nuova ammiraglia Sony che prevedono anche il frame rate sbloccato e l'uso del VRR. Su PS4 liscia ci si deve invece accontentare di un singolo settaggio. Durante la nostra fase di recensione abbiamo fatto qualche partita rapida anche sulle vecchie console e dobbiamo confermare quanto detto da Eric Williams durante la nostra intervista: Ragnarok gira da dio anche sulla precedente generazione ed esattamente come è avvenuto con Horizon Forbidden West, è perfettamente godibile anche da chi non ha ancora fatto il salto su una nuova piattaforma, per scelta o per costrizione. Chiaro che giocato su PS5 è tutto un altro vedere, ma il risultato raggiunto dai ragazzi di Santa Monica Studio su PS4 è meritevole di complimenti.

Per chi fosse particolarmente curioso in proposito, visto che ce l'avete fatto presente nel precedente articolo di prova, il DualSense è utilizzato "d'ufficio" in questo titolo: siamo lontani chilometri dalle sperimentazioni di Astro's Playroom e Returnal, ma anche dall'uso sapiente di un The Last of Us Parte 1 o di un Horizon Forbidden West. Buono il feedback aptico, come di consueto, assolutamente non memorabile l'uso dei grilletti adattivi.

Anche in Ragnarok ci troveremo a spostarci rapidamente negli scenari a bordo di canoe
Anche in Ragnarok ci troveremo a spostarci rapidamente negli scenari a bordo di canoe

A margine ci sentiamo invece di lodare due ulteriori elementi tecnici del titolo: eccellente è il lavoro svolto sul fronte dell'accessibilità con quasi 70 opzioni diverse che permettono non solo di andare incontro a chi ha purtroppo ridotte capacità cognitive e motorie, ma anche di alleggerire una serie di dinamiche relative ai controlli e al gameplay per chi, ad esempio, si stanca a premere in modo compulsivo il bottone per raccogliere il loot o magari, vuole personalizzare fino all'osso i sottotitoli. Inoltre abbiamo apprezzato veramente molto il doppiaggio in italiano che ci ha restituito ottime vibrazioni sia sul fronte dell'interpretazione di praticamente tutti gli attori (ci sono giusto un paio di eccezioni che riguardano personaggi assolutamente secondari) e anche per quello che concerne il missaggio dell'audio, a nostro parere perfetto nel far risaltare le voci anche durante le fasi più concitate dei combattimenti e delle cutscene.

Splendida infine la colonna sonora che, pur rimanendo molto spesso in secondo piano, fa tesoro di un paio di temi introdotti con il capitolo del 2018 ed esplode in alcuni contesti, soprattutto nelle splendide ore finali del gioco.

Conclusioni

Versione testata PlayStation 5, PlayStation 4
Digital Delivery PlayStation Store
Prezzo 79,99 €
Multiplayer.it
9.0
Lettori (335)
8.6
Il tuo voto

God of War Ragnarok è bello esattamente come il suo predecessore, ma per motivi profondamente diversi. È più maturo in tutte le dinamiche di gameplay, più completo, più profondo e presenta un sistema di combattimento molto più vario, stratificato e gratificante. Però nel suo essere un sequel così fedele e coerente con il passato, perde per strada qualsiasi elemento di reale novità, si diluisce nella sua progressione e si scrolla di dosso anche quel tono di epicità che aveva contraddistinto il soft reboot. In fin dei conti è un more of the same; un bellissimo, divertente, longevo more of the same.

PRO

  • Il sistema di combattimento ha raggiunto la piena maturità
  • Tantissimi nemici diversi e la giusta varietà di mini boss
  • Per chi ha voglia di approfondire, ci sono decine di ore di attività secondarie

CONTRO

  • Gli scontri davvero epici sono dosati col contagocce
  • Il tono della narrazione è molto più leggero e scanzonato
  • Tutta la fase di libera esplorazione potrebbe risultare stancante